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Le suore orsoline. Tessitrici di speranze

Intervista a Suor Rita: noi siamo alternative al consumismo e alla mentalità dell’usa e getta che rende schiavi

di Davide Denina

Casa Rut e newHope sono centri per ragazze migranti vittime di tratta: insegnano a cucire, a mettere insieme stoffe e pezzi di vita smarriti. Come? Rifiutando assistenzialismo e beneficenza.

Ci siamo accorte subito che Faith era una ragazza scaltra. È arrivata a casa Rut che non aveva ancora 18 anni. Sulla strada apriva la bocca per contrattare il prezzo: 10, 15, massimo 20 euro. Qui le abbiamo insegnato l’italiano, qui ha imparato a cucire e ha rielaborato le tragiche esperienze che i trafficanti le hanno fatto subire.


Poi si è fidanzata. Noi suore la ammonivamo: “Prima l’autonomia, poi l’amore. Una relazione dettata dal bisogno ha basi d’argilla”. Adesso, a 26 anni, Faith ha una partita IVA e un compagno, va in giro per l’Italia a cucire abiti in stile africano, con una cucitrice che ha preso in affitto”.

L’orsolina Suor Rita è la fondatrice di Casa Rut, un centro di accoglienza per donne migranti che ha sede a Caserta. In 23 anni, Casa Rut ha rimesso insieme le vite di circa cinquecento persone: qualche anno fa erano soprattutto albanesi ed est europee, adesso provengono dall’Africa nera, in particolare dalla Nigeria.

Oggi le suore orsoline che gestiscono il centro ospitano dieci ragazze e tre dei loro bimbi: il centro offre percorsi sanitari ed educativi e promuove la regolarizzazione e l’inserimento delle ragazze nel tessuto economico. Con un occhio al metodo, che non è quello assistenziale. Continua Suor Rita: “Noi non siamo le suore che aiutano le poverine. Noi insegniamo una professione, diamo lavoro, dignità, riscatto, forza. Non facciamo beneficenza”.


(Suor Rita)


E allora è naturale che questo polline abbia fecondato le menti e i cuori di tante ragazze: alcune hanno fatto le badanti, le infermiere, le imprenditrici, le operaie. Tra queste c’è Mirela, una ex migrante che ha messo le radici a Caserta e oggi presiede l’associazione newHope, un fiore germogliato nel prato che il lavoro di suor Rita ha reso pieno di speranze, l’anello di congiunzione tra una realtà di partenza fatta di dolore e sfruttamento e un luogo di lavoro caldo e accogliente, in cui Mirela e le sue compagne indossano i loro ditali.

La nostra sartoria etnica impiega quattro persone: due nigeriane, una ucraina e io che sono romena. Abbiamo tutte un contratto da operaie tessili, regolare e registrato. Poi ci sono altre quattro ragazze in formazione che vengono da Casa Rut e la mattina imparano a tagliare, a cucire, a stirare. E poi socializzano, migliorano l’italiano a contatto con colleghe e clienti. Produciamo grembiuli, cestini, asciugamani e bomboniere solidali per battesimi, comunioni, cresime e matrimoni. Le bomboniere, il nostro prodotto di punta, sono il nostro cavallo di battaglia per farci conoscere dalle famiglie e costano tra i 4 euro e i 12 euro. Purtroppo, molti a Caserta hanno una mentalità classica: spendono migliaia di euro per sposarsi, ma in realtà vogliono solo fare vedere che hanno i soldi”.



Noi siamo alternative al consumismo e alla mentalità dell’usa e getta che hanno reso schiave queste ragazze – conclude Suor Rita. Vendiamo prodotti sartoriali che sono anche simboli di liberazione, di crescita e di rinascita. Perché cucire stoffe e colletti, maniche e gambali sia come rimettere insieme i pezzi di vita delle donne che li assemblano”.


Davide Denina

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