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Liliana Segre incontra Matteo Salvini, faccia a faccia a casa della senatrice

Nonostante un rimbalzo di 'no comment', ieri Liliana Segre e Matteo Salvini si sono visti davvero

Credit Foto - ANSA / MATTEO BAZZI

Non si doveva sapere. Eppure nonostante un rimbalzo di «no comment» reciproci, ieri Liliana Segre e Matteo Salvini si sono visti davvero. Da una parte, una donna di 89 anni, costretta da qualche giorno a girare con la scorta, sotto il bombardamento quotidiano di una media di 200 messaggi di odio e minacce. Dall’altra il numero uno della Lega, l’ex ministro dell’Interno, che prima aveva sminuito gli attacchi alla senatrice a vita, paragonandoli a quelli che lui riceve abitualmente, poi correggendo il tiro e dimostrandosi più solidale.

Con la figlia di 6 anni. Con Salvini c’era la figlia Mirta, che ha 6 anni, e nessun altro rappresentante delle istituzioni. Nessun uomo dello staff. Un vero faccia a faccia. Si sono visti che erano da poco passate le 17, a casa di Segre, a Milano. Lei provata. Stanca. Soprattutto perché molto delusa. «Essendo una vecchietta pensavo di essere di nessun interesse, quindi non me lo aspettavo. Di certo non sono stata io a chiederla», aveva detto ieri, poco prima di ricevere la visita di Salvini, in un’intervista a RaiNews. «Un incontro privato che tale doveva restare. Da parte nostra manteniamo un totale impegno alla riservatezza», dice uno dei tre figli della senatrice, Luciano Belli Paci. Impegno che mantiene anche lo staff di Salvini. E sembra che davvero la cosa non sarebbe dovuta uscire da quella stanza. «Se io non odio, perché non dovrei aprire la porta? Chi mi vuole incontrare trova la mia casa aperta e accogliente. Se vuole venire gli offrirò del tè, i biscotti... certo non un mojito», aveva detto martedì Segre in un’intervista al Corriere, dopo che l’ex ministro dell’Interno aveva ventilato l’ipotesi di volerla incontrare.

La piazza di Milano. Venerdì Segre non era uscita di casa. Perché come spiega il figlio Luciano, «ha davvero bisogno di staccare la spina. Cerca la calma e non la piazza. Io e mio fratello in questo senso vogliamo proteggerla». Anche i medici le hanno consigliato di starsene un po’ tranquilla. L’incontro era nato qualche giorno fa. Mentre montavano le polemiche sull’astensione della Lega, oltre che di Fratelli d’Italia e Forza Italia, sulla «commissione Segre». «Ci sono vari modi di chiedere un appuntamento», aveva detto Segre. Non era convinta che la proposta di Salvini fosse vera. L’aveva letta sui giornali. Ma era pronta ad ascoltarlo. E così ieri ha aperto la porta. Chiedeva tranquillità. E non si aspettava nemmeno che già ieri Milano scendesse in piazza. O meglio, in strada, quasi in modo spontaneo davanti alla Sinagoga di via Guastalla. Nonostante la manifestazione di solidarietà, organizzata dall’Anpi e da altre associazioni, già prevista per lunedì davanti al Memoriale della Shoah. «Le cose si fanno a caldo nei posti simbolici», dice Andrée Ruth Shammah. E da un suo scambio di sms è partito il passaparola. Niente striscioni, né comizi. Davanti a quella Sinagoga per un giorno non c’è la comunità ebraica. C’è la gente comune. Ci sono milanesi che passano per lasciare un messaggio su un libro aperto su un tavolino improvvisato sul marciapiede. C’è Stefano Boeri, tra i primi a raccogliere l’appello. Passa Emanuele Fiano, deputato del Pd e figlio di Nedo, anche lui sopravvissuto ad Auschwitz: «Non voglio che papà in questo momento veda quell’immagine». Si riferisce allo scatto in cui Segre passeggia per Milano con due uomini della scorta ai fianchi. «Per me Liliana è come una zia. Vederla costretta a questo è una sconfitta impensabile. È l’unica persona al mondo sopravvissuta all’Olocausto costretta così. Dall’estero mi chiedono se c’è davvero il rischio che torni il fascismo», aggiunge Fiano.

La firma di Veltroni. Arriva Walter Veltroni, prende la penna e firma. Poi mostra sullo schermo del suo telefonino uno dei messaggi di insulti che ha ricevuto sui social dopo aver postato la sua solidarietà a Segre: «Una volta la gente nascondeva la propria ignoranza dietro a una tastiera. Ormai si firmano con nome e cognome. Questo genere di insulto è stato sdoganato. Mi indigna pensare che tutto questo avvenga nei confronti di una donna di 89 anni».

Stefano Landi - Corriere.it



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