Liliana Segre sotto scorta dopo le minacce
I carabinieri garantiranno la tutela alla senatrice a vita, che riceve 200 messaggi di odio al giorno
Da oggi, i carabinieri del Comando provinciale di Milano garantiranno la scorta alla senatrice a vita Liliana Segre, deportata nel gennaio del 1944 dal binario 21 della stazione Centrale al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, e sopravvissuta all’Olocausto. La misura di protezione, da tempo sotto esame, è stata disposta nel pomeriggio di mercoledì, durante il Comitato per la sicurezza e l’ordine pubblico presieduto dal prefetto Renato Saccone e con al tavolo i vertici cittadini delle forze dell’ordine.
Tecnicamente, il livello di difesa è una tutela, che prevede la presenza dei carabinieri in ogni spostamento e uscita pubblica della senatrice, contro la quale martedì Forza Nuova ha esposto uno striscione, nei dintorni del teatro di via Fezzan, a Milano, dove Liliana Segre incontrava assieme a don Gino Rigoldi cinquecento studenti. Proprio l’aumento esponenziale delle minacce, unitamente all’elevato numero di eventi con protagonista la senatrice, che a 89 anni, instancabile, mai si sottrae agli inviti a dibattiti e convegni, ha accelerato la decisione della scorta. Una misura necessaria nei confronti di una donna che, per sua stessa ammissione, attraverso i canali dei social network riceve in media ogni giorno duecento messaggi incitanti all’odio razziale. L’origine della campagna di violenza non è di queste ore: risale (almeno) al 2018, quando era stato aperto un fascicolo in Procura sotto il coordinamento del pool antiterrorismo del magistrato Alberto Nobili, ma è stato l’attuale ministro dell’Interno Luciana Lamorgese a inserire il provvedimento di tutela nelle priorità.
Nel corso di un recente seminario alla Iulm, la senatrice, parlando proprio degli haters, aveva detto che «sono persone per cui avere pena e che vanno curate». Del resto, aveva aggiunto, «ogni minuto della nostra vita va goduto e sofferto. Bisogna studiare, vedere le cose belle che abbiamo intorno, combattere quelle brutte e non perdere tempo a scrivere a una 90enne per augurarle la morte. Tanto c’è già la natura che ci pensa».
In uno dei suoi ritorni lì dov’era il Binario 21, nel Memoriale della Shoah, Liliana Segre aveva ricordato la cattura, il trasferimento nel carcere di San Vittore, gli ultimi gesti di umanità dal prossimo — poche mele e una piccola sciarpa donate dai detenuti che altro non avevano — , infine la partenza verso la stazione e una lancinante presa di coscienza: quella dei genitori di non poter più proteggere i propri bambini, vista l’impossibilità di fuggire. «Io ero una figlia, e sarò per sempre convinta che non avrei potuto farlo da madre. Mai». Ogni istante trascorso con Liliana Segre, racconta chi le sta vicino, rimane un privilegio raro.
di Andrea Galli e Gianni Santucci - Corriere della Sera
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