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L’8 Marzo e la questione femminile

di Michela Nicolais
Credit Foto - wikipedia

Ci avviciniamo all’8 marzo, e come ogni anno la Festa della donna appare all’orizzonte, con tutte le sue ambiguità e contraddizioni. Nel rispetto di chi, legittimamente, utilizza questa giornata per regalarsi qualche momento di libertà, magari per passare una serata in compagnia delle amiche, e della nobiltà delle origini della Festa - legata ad una tragedia che ha colpito le donne sul posto di lavoro - non posso fare a meno di pensare che, se nel terzo millennio, ancora c’è bisogno di un giornata dedicata alla donna vuole dire che gli altri 364 giorni dell’anno sono ancora declinati esclusivamente “al maschile”.

Non a caso, il termine “questione femminile” – ormai quasi scomparso dal vocabolario corrente, civile ed ecclesiale – riappare magicamente proprio in concomitanza dell’8 marzo, tramite tavole rotonde, dibattiti, iniziative “in rosa” di vario genere. Un segno positivo, in termini di creatività, destinato però nella maggior parte dei casi, nonostante le migliori intenzioni, a rimanere relegato entro recinti autoreferenziali o puramente celebrativi.

In ambito cattolico, inoltre, la “questione femminile” è oggi quasi sempre inglobata nella “questione famiglia” – senza dubbio decisiva, per la Chiesa e per la società – o in quella del ruolo delle consacrate nella comunità cristiana, tema anche questo importante e delicato ma non esaustivo, come il precedente, dello “spessore” della partecipazione femminile all’interno e all’esterno della comunità cristiana, nelle sue innumerevoli sfumature. Tutti segnali, questi, che hanno il sapore di regresso, più che di progresso della causa delle donne, nonostante il mainstream dominante faccia di tutto per persuaderci che la “parità” tra uomo e donna sia ormai un traguardo raggiunto.

Quando ho cominciato a lavorare, ormai quasi trent’anni fa, nelle redazioni la presenza femminile era certamente minoritaria: i progressi, nel campo giornalistico come in tutti gli altri ambiti lavorativi, sono sotto gli occhi di tutti. La “femminilizzazione” dei luoghi di lavoro è ormai un fenomeno di massa: le donne però ancora oggi, per attingere al gergo automobilistico, sono in genere il carburante, ma al volante continuano a sedersi i loro colleghi uomini. Senza contare la penalizzazione in termini salariali, dove a parità di qualifica gli stipendi femminili pesano in media un terzo di meno. La celebre metafora del “soffitto di cristallo”, usata dal Censis più di trenta anni fa per descrivere la condizione della donna, è quindi ancora attuale.

Ne sa qualcosa papa Francesco, che con le donne ha un rapporto all’insegna dell’empatia, come dimostrano i continui riferimenti alle donne che hanno segnato la sua vita, a cominciare da nonna Rosa, che gli ha trasmesso la fede con il latte materno. “La Chiesa è donna”, non si stanca di ripetere Francesco, auspicando una maggiore presenza femminile all’interno della Chiesa e della società, anche nei processi decisionali.

Rendendo omaggio, venticinque anni dopo, al primo documento dedicato da un papa interamente alla questione femminile - la Mulieris dignitatem di Giovanni Paolo II, definita un documento storico - Bergoglio con chiarezza e sintesi cristallina ha fugato ogni dubbio su quale sia la reale posta in gioco per le donne, nella Chiesa e nella società. “Ci sono due pericoli sempre presenti, due estremi opposti che mortificano la donna e la sua vocazione. Il primo è ridurre la maternità a un ruolo sociale, ad un compito, anche se nobile, ma che di fatto mette in disparte la donna con le sue potenzialità, non la valorizza pienamente nella costruzione della comunità. Questo sia in ambito civile, sia in ambito ecclesiale. E, come reazione a questo, c’è l’altro pericolo, in senso opposto, quello di promuovere una specie di emancipazione che, per occupare gli spazi sottratti al maschile, abbandona il femminile con i tratti preziosi che lo caratterizzano” (al seminario per il 25° anniversario della Mulieris dignitatem, 12 ottobre 2013). Sta proprio qui, infatti, il nodo del problema: riuscire a far comprendere che, nella Chiesa e nella società, il vero empowerment delle donne non consiste in una sorta di veterofemminismo mal interpretato che, all’insegna della “indifferenza per la differenza”, vede la donna inseguire il modello maschile rivendicandone ruoli e spazi, come nel caso del dibattito portato avanti da alcune teologhe sul sacerdozio femminile.  Il potere, per le donne, non è mai fine a se stesso, ma è “poter fare”: il vero potere è il servizio, dice ancora Francesco prendendo a riferimento in particolare la figura di Maria.

“La Chiesa è madre”: sta in questa frase, ripetuta a più riprese dal papa, l’antidoto a quello che Bergoglio definisce il clericalismo, uno dei mali più perniciosi per la barca di Pietro. La maternità non è una questione biologica, è una dimensione che appartiene e deve appartenere a tutta la comunità ecclesiale, uomini e donne comprese, all’insegna di una parola chiave - “reciprocità” - sdoganata profeticamente, ormai trenta anni fa, dal papa polacco nell’enciclica citata, ma ancora oggi, troppo spesso, cancellata dal vocabolario a favore di un termine ben più riduttivo e meno coraggioso: “complementarità”. (San Bonaventura Informa)



Michela Nicolais

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