Povertà. I trent'anni del Banco alimentare: «Chi soffre la fame? Soprattutto i bambini»
Farà anche presa sulla pancia del Paese, il “discorso” sulla povertà, incastonato tra le promesse dell’attuale governo e i primi, ancora tiepidi bilanci sull’effetto del Reddito di cittadinanza. Intanto, però, c’è una povertà che continua a crescere senza sosta, con una pancia che resta drammaticamente vuota: quella dei bambini. A guardarla attraverso le lenti del Banco Alimentare – trent'anni da festeggiare giusto oggi, e con decine di iniziative da Nord a Sud nei prossimi mesi – l’Italia ha ancora troppa fame.
Soprattutto i suoi minori, ovviamente esclusi da centri dell’impiego e navigator, ma purtroppo anche notevolmente sottostimati nelle misure di sostegno pensate e messe in campo dal legislatore per il mondo adulto. Senza partire dal 1989, quando i primi volontari del Banco si rimboccavano le maniche e venivano guardati un po’ di traverso («Eccoli, quelli che chiedono l’elemosina per i poveri...»), basta guardare all’ultimo decennio per capire di cosa stiamo parlando: i dati sulla povertà elaborati dall’Istat nel 2007 (l’ultimo anno precedente alla crisi finanziaria ed economica esplosa nel 2008) mostravano un’incidenza di povertà assoluta tra bambini e giovani in minore età del 3,1%, quelli del 2017 del 12,1%.
Un balzo sconcertante «per cui si è fatto meno di quello che sarebbe necessario» sottolinea Giancarlo Rovati, ordinario di Sociologia all’Università Cattolica di Milano. «Basti guardare alla corrispondente povertà assoluta tra gli anziani, passata dal 3,1% al 4,6% negli stessi dieci anni, per effetto dei trattamenti pensionistici e degli assegni sociali destinati a questa parte della popolazione». E anche in queste ore, in cui da Eurostat arrivano segnali di ottimismo su un rallentamento della morsa dell’indigenza, «la buona notizia continua a non valere per i bambini – aggiunge Rovati –, visto che la situazione è migliorata per tutte le fasce di età ad esclusione proprio di quella dei più piccoli». Con la percentuale dei minori di 6 anni in condizione di disagio che sale nel 2018 dall’8,5% all’8,8%, contro una contrazione di quasi due punti percentuali nella fascia di chi invece è in età da lavoro (25-54 anni). «Un allarme che non può essere ignorato oltre».
L'aiuto alimentare a 350mila piccoli
Aiutarli. E aiutare le famiglie in cui vivono, per cui il Reddito di cittadinanza sta già dimostrando la sua scarsa incisività (appena il 19,6% quelle che ne beneficeranno, contro il 47,9% dei singoli). Una parte fondamentale la fanno gli aiuti alimentari stanziati dal Fondo di aiuti europei agli indigenti (Fead), distribuiti dall’Agenzia per le erogazioni in agricoltura (l’Agea): nella stragrande maggioranza, in questo caso, destinatari sono proprio famiglie con figli minorenni a carico, per cui sono previste anche integrazioni in vestiario e materiale scolastico. Al resto pensa Banco Alimentare, con uno sguardo «che comincia sempre dai chili – spiega il presidente Andrea Giussani –, dal giorno per giorno e dai destinatari».
Un milione e mezzo all’anno i poveri aiutati, attraverso quasi 8mila enti caritativi convenzionati, di cui 350mila sono bambini bisognosi di tutto: dagli omogeneizzati al latte fino alla carne, la grande assente sulla tavolo (spesso squilibrata dal punto di vista nutrizionale) delle famiglie povere. Cos’è cambiato in trent’anni? «Che il nostro “mercato di riferimento”, purtroppo, è drammaticamente aumentato – continua Giussani –. All’inizio, e per diverso tempo, quella di Banco Alimentare è stata considerata la solidarietà di serie B. Si è scoperto dopo, e soprattutto tra le famiglie italiane, che la fame c’era e che gli aiuti alimentari erano fondamentali, anche per intercettare in prima battuta la povertà e poi avviare percorsi più mirati».
Un modello di presa in carico dei bisognosi costruito dal basso, attraverso la rete della generosità maturata sui territori e in quel contatto quotidiano con le persone «che ci ha convinto sempre più che per curare la ferita della povertà bisogna anche conoscerla. Le ricette dall’alto non funzionano». Da questo sforzo d’altronde è nata anche la legge Gadda contro lo spreco alimentare, «che tanto ha fatto dal punto di vista concreto prima che culturale nel campo della raccolta delle eccedenze alimentari nel nostro Paese e che ha avuto proprio nelle associazioni impegnate in campo ogni giorno coi poveri i primi referenti» . Quel Tavolo di coordinamento sugli indigenti istituito al ministero dell’Agricoltura e, purtroppo, ancora mai convocato da questo governo.
Vitaliano, il volontario che s'è inventato la prima Colletta
Tutti i giorni Vitaliano Bonacina apre all’alba la porta della sede milanese del Banco alimentare. Qui, dove è cominciato tutto e nell’atrio è sempre un via vai di persone cariche di scatole, volantini, locandine. Ottantasette anni da compiere, lo sguardo buono di chi non sa dire di no, Vitaliano s’è inventato niente meno che la Colletta alimentare, anche se arrossisce quando comincia a raccontare la sua storia: «Ho sempre lavorato nel tessile, a livello manageriale. Una vita dedicata al lavoro, che con evidenza non poteva finire con la pensione. È così che un amico un giorno mi ha detto "Ho sentito che hanno bisogno quelli del Banco, li conosci?"». Vitaliano non ne sapeva nulla.
«Sono partito con l’idea di dedicare al volontariato uno o due giorni la settimana. Ricordo che era ottobre, e fra i primi compiti mi avevano dato quello di andare a verificare la situazione di una famiglia vicino a Meda». È un viaggio al cuore della povertà e dell’amore: ad aprire la porta a Vitaliano c’è una donna di poco più di trent’anni, sciupata, stanca. «Aveva un bimbo piccolo in braccio e mi disse di farmi avanti. In sala c’erano almeno altri 6 o 7 bambini, che giocavano sereni. La donna e suo marito gestivano una casa famiglia e avevano bisogno di aiuti alimentari». Niente discorsi particolari, nessun avvenimento sconvolgente: qualche minuto per raccogliere i dati e Vitaliano esce e torna alla macchina. «Ma la sensazione che ho provato la porto ancora adesso nel cuore. Lo sguardo di quella madre povera che non aveva nulla da dare e che tuttavia si offriva a quei bimbi si è come attaccato all’anima, non sbiadisce». Dal giorno dopo Vitaliano il volontario decide di farlo tutti i giorni.
A gennaio – siamo nel 1997 – lo chiamano dal direttivo: «Facevi il dirigente, giusto? Allora devi occuparti della Colletta. A Parigi la chiamano così, pensaci tu». Vitaliano resta spiazzato. Poi – lo fa anche adesso, mentre ripercorre le tappe del suo impegno – prende un foglio e inizia a scrivere in modo ordinato: "Chi", "quando", "come". In un’ora ha un piano operativo: «Si trattava, per la prima volta in Italia, di chiedere alla gente di fare la spesa per i poveri – racconta –. E si trattava, soprattutto, di trovare i fondi che ci servivano per organizzare tutto: la carta per le locandine, le buste di plastica, le prime pettorine. Mi venne l’idea di chiedere proprio alla grande distribuzione, visto che già dovevamo coinvolgerli nel progetto. Iniziai a telefonare, a bussare alle porte degli uffici di direzione. E con fatica, con sorpresa anche, ci accorgemmo che c’era interesse».
A novembre 1997 l’Italia celebra la prima Colletta alimentare: 1.239 i supermercati coinvolti, per una raccolta che alla fine si attesta attorno alle 1.700 tonnellate di cibo. «Oggi, 23 anni dopo, i punti vendita sono oltre 11mila e le tonnellate nel 2018 hanno toccato la cifra di 8.350». Vitaliano però non riesce a perdonarsi l’errore computo quella “prima volta”: «Avevamo pensato a tutto ma non alle scatole di cartone in cui raccogliere gli alimenti donati, ci crede?». L’anno dopo Vitaliano lo passò a cercare uno sponsor che le regalasse: «Quando oggi le vedo negli empori, ordinate e sistemate con dentro tutto quel ben di Dio, mi viene ancora da sorridere...». (Viviana Daloiso, Avvenire)
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