Ravasi, giovani: Cuore inquieto
di Cardinal Gianfranco Ravasi
Digito, ergo sum, esisto perché sono in connessione informatica col mondo.
Un nostro ragazzo che sta cinque ore al giorno al computer comunica in modo diverso rispetto a noi adulti o anziani che ci incontriamo gli occhi negli occhi, discutiamo in modo diretto, intuiamo i retro-pensieri di chi abbiamo di fronte, ci scriviamo lettere manoscritte articolate. Ora domina, invece, il dialogo freddo della chat-line ove l’altro è sostanzialmente un’icona che può essere contraffatta a proprio uso e gusto, e il linguaggio è semplificato, spesso affidato ai 140 (o 280) caratteri del tweet o ai segni ridotti (emoticon) del messaggio del cellulare. È, allora, legittimo parlare di una svolta radicale che, pur conservando il divario critico tra le generazioni a cui alludeva papa Giovanni XXIII, lo carica di problemi e di dimensioni del tutto nuove e fin inaspettate. Proprio per questo si è soliti parlare di una “questione giovanile” che rivela un’identità specifica rispetto al tradizionale rapporto “padri-figli” oggetto di una costante considerazione, come suggeriva già il titolo stesso del celebre romanzo omonimo che lo scrittore russo Ivan Turgenev aveva pubblicato nel 1862. O come indicava, in senso più esplicitamente negativo, la famosa opera Padre padrone di Gavino Ledda (1975), divenuta nel 1977 un noto film dei fratelli Taviani.
Il filosofo Benedetto Croce (1866-1952) scriveva: «Ai giovani non c’è altro da dire se non: guadagnatevi la vostra verità... Nel passaggio dalle nostre alle vostre mani, le verità diventano rami secchi, e sta solo a voi la potenza di farli rinverdire». È una riflessione che ha una sua forza indiscutibile, verificabile soprattutto allora, in anni in cui si cercava di far rinascere il nostro Paese dalle macerie della guerra e dall’asfissia della dittatura. Ora, però, questa considerazione sembra appassirsi. Certo, i giovani si guadagnano la loro verità, ma spesso si tratta di un pallido riflesso che ha in sé molti luoghi comuni e non di rado squarci di vuoto. E noi della generazione precedente trasmettiamo, con la nostra indifferenza, con le nostre prediche moralistiche, con l’assenza dei valori genuini, rami secchi che i giovani rigettano e non possono far rinverdire. Si crea, così, una sorta di deserto comune in cui ci trasciniamo, noi con qualche fioca luce, loro nel grigiore di una nebbia che non promette un futuro e un orizzonte diverso. Eppure, proprio perché «l’uomo supera infinitamente l’uomo», come scriveva un altro grande filosofo, il francese Blaise Pascal, rimane sempre nell’anima dei giovani un seme di inquietudine positiva, una scintilla di vitalità interiore, un fremito di speranza.
È ciò che insinuava papa Francesco nel luglio 2016 durante un video-messaggio al raduno ecumenico giovanile Insieme di Washington: «So che c’è qualcosa, nei vostri cuori, che vi rende inquieti, perché un giovane che non è inquieto è un vecchio». È l’inquietudine di sant’Agostino che anela all’incontro con la pienezza divina, per cui un po’ paradossalmente si può dire che, finché si è inquieti, si può stare tranquilli. A stimolare e a tener accesa la fiamma di questa sana tensione – che non è scontentezza e insoddisfazione, ma ricerca e attesa – una funzione significativa è svolta dalla Parola di Dio.
In questo volume, dedicato sia agli adulti perché siano capaci di offrire “rami verdi” ai giovani, sia a questi ultimi perché li sappiano accogliere e piantare nel terreno del loro tempo, la Bibbia – come abbiamo detto – farà scorrere davanti ai nostri occhi figure e storie di adolescenti e giovani. Certo, seguiremo la trama della Bibbia dall’inizio alla fine, ma ci affideremo quasi a lampi testuali, cioè a pagine e a scene scelte liberamente e destinate a far brillare splendori e miserie della gioventù di allora che non è molto diversa da quella di oggi, nonostante le mutazioni a cui sopra accennavamo. Gli splendori per far ritrovare l’impegno e l’ottimismo, le miserie per un esame di coscienza. Vogliamo definire questi due campi proprio con una duplice citazione biblica che è sorgente, da una parte, di un monito severo e, dall’altra, di fiducia operosa. Al negativo risuona, proprio in apertura alla Sacra Scrittura, questo aspro ammonimento divino: «Ogni intento del cuore umano è incline al male fin dall’adolescenza» (Genesi 8,21). Tuttavia, «anche se il peccato è accovacciato alla tua porta e verso di te è il suo istinto, tu però lo puoi dominare» (4,7).
In positivo, per continuare il dialogo fecondo tra le generazioni prospettato dal filosofo Croce, ecco il dolce e forte appello ottimistico che san Giovanni lascia nella sua Prima Lettera: «Scrivo a voi, figlioli, perché vi sono stati perdonati i peccati in virtù del suo nome. Scrivo a voi, padri, perché avete conosciuto colui che è da principio. Scrivo a voi, giovani, perché avete vinto il Maligno. Ho scritto a voi, figlioli, perché avete conosciuto il Padre. Ho scritto a voi, padri, perché avete conosciuto colui che è da principio. Ho scritto a voi, giovani, perché siete forti e la parola di Dio rimane in voi e avete vinto il Maligno» (2,12-14). Aggiungiamo una curiosa nota finale. La parola più usata nell’Antico Testamento, dopo il nome divino Jhwh (“Jahweh”), è ben, cioè “figlio”, per cui la Bibbia è per certi versi un libro di figli buoni e cattivi che vedono alla fine entrare in scena in mezzo a loro il Figlio per eccellenza, Gesù Cristo. È interessante osservare, poi, che questo vocabolo ben deriva dal verbo ebraico banah che significa “costruire, edificare”: infatti la casa cresce con le pareti, fatte di pietre vive e protese verso l’alto e il futuro, che sono i figli. È ciò che è ben espresso in un Salmo: «Se il Signore non costruisce [banah] la casa, invano si affaticano i costruttori... Ecco, eredità del Signore sono i figli [ben], è sua ricompensa il frutto del grembo. Come frecce in mano a un guerriero sono i figli [ben] avuti in giovinezza» (127,1.3-4). Abbiamo prima citato le parole di un papa, concludiamo ora col monito acuto di un altro, il beato Paolo VI: «Molti oggi parlano dei giovani; ma non molti, ci pare, parlano ai giovani».
Cardinal Gianfranco Ravasi
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