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San Francesco e il sultano: l'arte

di Timothy Verdon/storico dell’arte

Nel 1219 Francesco realizzò finalmente un suo ardente desiderio: predicare la fede cristiana ai musulmani. Questo evento viene narrato nel nono capitolo della Legenda Maior, dove Bonaventura parla della carità che spingeva Francesco a voler annunciare il vangelo a tutti gli uomini, e dell’attrazione che il santo provava davanti alla possibilità del martirio. La funzione di questo episodio è infatti quella di associare Francesco al grado più alto della santità cristiana, quello dei martiri, dimostrando la completa disponibilità del Poverello a morire per Cristo.

Raggiungendo l’esercito crociato a Acri e poi a Damiata, Francesco ottenne dal legato pontificio di potersi recare, al suo rischio e responsabilità, dal principe musulmano, il sultano Malik-al-Kamil.  Questi “lo ascoltò volentieri e lo pregava vivamente di restare presso di lui”, ma esitò ad accettare l’invito a convertirsi con tutto il suo popolo. Allora Francesco gli chiese di far accendere “un fuoco il più grande possibile”, e disse: “Io con i tuoi sacerdoti entrerò nel fuoco e così, almeno, potrai conoscere quale fede, a ragion veduta, si deve ritenere più certa e più santa”. Ma il sultano gli rispose: “Non credo che qualcuno dei miei sacerdoti abbia voglia di esporsi al fuoco o di affrontare la tortura per difendere la sua fede”, e Bonaventura a questo punto soggiunge che il sultano infatti “si era visto…scomparire immediatamente sotto gli occhi, uno dei suoi sacerdoti, famoso e d’età avanzata, appena udite le parole della sfida”.  Francesco allora offrì di entrare nel fuoco da solo, se il sultano avrebbe promesso di convertirsi nel caso il santo ne uscisse illeso.

Questo è il momento che Giotto illustra: Francesco al centro che indica sia il fuoco che se stesso, mentre a sinistra i sacerdoti musulmani si dileguano e, a destra, il sultano, rifiutando l’offerta di Francesco di entrare nel fuoco solo, a sua volta gli offre “molti doni preziosi…per distribuirli ai cristiani poveri e alle chiese, a salvezza dell’anima sua”. Il santo però, “poiché voleva restare libero dal peso del denaro”, non accettò.

 

Anche in questo affresco, come ne La rinuncia agli averi, Giotto spacca la composizione dall’alto verso il basso, con il sultano e la sua corte a destra e Francesco a sinistra. Alla radice dell’incolmabile distanza tra questi due mondi vi è poi sempre il denaro, perché mentre Francesco è pronto a dare la vita, il sultano non offre che “molti doni preziosi”.



Timothy Verdon/storico dell’arte

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