Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali, 70 anni di diritti
È stato necessario un lungo percorso storico, secoli di elaborazione, per arrivare a questa Carta dell’ONU
di Roberto Olla“Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti”: è il primo articolo della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani delle Nazioni Unite firmata a Parigi settanta anni fa. Era il 10 dicembre del 1948, il mondo era ancora sconvolto dall’enorme conflitto, nelle città si sgomberavano le macerie e si raccoglievano le forze per ricostruire, lentamente tornavano a casa i prigionieri di guerra, i primi racconti degli ex deportati sconvolgevano le coscienze per la ferocia dei crimini contro l’umanità.
È stato necessario un lungo percorso storico, secoli di elaborazione, per arrivare a questa Carta dell’ONU a partire dai principi contenuti nella Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti d’America e nella Dichiarazione dei Diritti dell’uomo della rivoluzione francese.
Importanti anche i 14 punti del programma del presidente americano Wilson alle fine della prima guerra mondiale e poi quelli del presidente Roosevelt nella seconda, portati avanti da sua moglie Eleanor dato che lui morì poco prima della fine del conflitto. Ma, soprattutto, perché le nazioni del mondo approvassero una dichiarazione “universale” dei diritti umani è stata fondamentale la coscienza del genocidio compiuto nei lager.
Un percorso per niente semplice. Avevano tute da combattimento bianche, mimetiche nella neve, i primi soldati russi quando aprirono i cancelli di Auschwitz, il 27 gennaio 1945. Non riuscivano a capire cosa realmente fosse quell’enorme campo. Ma i loro capi, politici e militari, loro sì sapevano di cosa si trattava. In quel campo, in quei campi (più di duemila, una rete del male interconnessa e diffusa in tutta Europa, Italia compresa) si stava distruggendo l’umanità. Un giurista ebreo polacco, Lemkin, aveva coniato un nuovo termine per rappresentare efficacemente l’uccisione di interi popoli, l’omicidio di milioni di persone, della loro cultura, dei loro bambini, di un’intera genia: genocidio.
Con questa drammatica coscienza l’ONU volle spingere le nazioni verso un futuro di libertà ed uguaglianza espresso in una nuova Carta. Persino lo stesso titolo della Dichiarazione guardava al futuro superando già 70 anni fa le discriminazioni di genere. Non una Carta dei diritti “dell’uomo” ma dei “diritti umani”. Quanto guardasse al futuro è chiaro anche dall’articolo 15 che dice: “Ogni individuo ha diritto ad una cittadinanza. Nessun individuo potrà essere arbitrariamente privato della sua cittadinanza, né del diritto di mutare cittadinanza.”
Difficile oggi, in epoca di massicce migrazioni, dire quanti leader politici del mondo siano d’accordo con questo articolo. Ma forse 70 anni fa i sentimenti verso gli “altri” erano diversi. Forse chi ha scritto quella Carta dell’ONU ragionava ancora come sempre storicamente si era fatto di fronte ad un visitatore, ad un pellegrino, ad un profugo: bastava che avesse un volto e un’anima per riconoscerlo e riconoscergli accoglienza. Oggi non basta più: ci servono un volto, un’anima e un passaporto.
Così però i “diritti umani” fanno un passo indietro e diventano i “diritti dei cittadini”. E chi cittadino non lo è più? Che fare con chi ha distrutto i suoi documenti per non essere “restituito” alla dittatura, alla guerra, alla miseria, alla fame e alla sete da cui è fuggito a rischio della vita sua e dei suoi figli?
La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani ha 70 anni e in questi decenni sono sorti nuovi diritti (basti pensare al diritto di avere internet, ad esempio), il mondo è cambiato e continua a cambiare sotto i nostri occhi molto più velocemente di quanto potessimo prevedere. La Carta dell’ONU forse avrebbe bisogno di essere aggiornata. Ma prima ancora avrebbe, ha bisogno di non essere più una semplice “esortazione”, un invito alle varie nazioni. Ha bisogno di diventare una legge approvata ed applicata dagli Stati. Allora sì, l’umanità farebbe di colpo un grande balzo in avanti.
Roberto Olla
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