Umbria. L'azienda licenzia e delocalizza, gli operai la ricomprano
Città di Castello, i lavoratori licenziati rilevano macchinari e sede investendo TFR e disoccupazione
Il marchio della nuova fabbrica se lo portano dietro ovunque con tanto di slogan «Tutti per uno, un sogno per tutti». «Ce lo siamo tatuato sul braccio — racconta con un sorriso Chiara Bastianelli, 37 anni, decoratrice — perché è il simbolo della nostra rinascita e del lavoro che adesso nessuno ci potrà più togliere». Già, perché un anno fa quel lavoro stava per svanire. La proprietà di Ceramisia, fabbrica di Città di Castello, aveva convocato operai e impiegati e aveva annunciato loro la decisione di delocalizzare in Armenia (dove poi la proprietà ha realmente aperto una nuova azienda). «Praticamente un licenziamento — ricorda Pierpaolo Dini, 52 anni, sposato con tre figli — tant’è che io avevo già pensato al mio incerto futuro, forse sarei tornato a fare il contadino. E invece…».
Quell’assemblea disperata
E invece ecco l’idea di Marco Brozzi, 44 anni, un altro lavoratore innamorato del mestiere e della fabbrica. «Ragazzi rinunciamo alla disoccupazione e al Tfr — propone durante una assemblea disperata — e quei soldi li investiamo per comprarcela questa azienda». «Comprarcela?». I colleghi di lavoro si guardano negli occhi, qualcuno si mette a ridere, altri hanno una smorfia di dolore. «Ma sotto sotto ci crediamo tutti — ricorda Dini — anche perché in quel momento era l’unica cosa da fare». Partono le trattative con la proprietà (la famiglia Polidori, in Umbria conosciuta anche per l’impegno politico di Catia, parlamentare di Forza Italia), i sindacati e la Coop appoggiano l’idea dei lavoratori che formano una cooperativa e nominano Brozzi presidente.
Le paure e il successo
Qualcuno continua ad essere perplesso. «All’inizio ero spaventata — ammette Chiara Bastianelli —. Poi a casa ho guardato mio figlio e ho pensato che un po’ di coraggio glielo dovevo. Anche perché con mutui casa e spese varie, senza il mio stipendio la mia famiglia avrebbe avuto grandi difficoltà». Con i soldi della disoccupazione (circa 180 mila euro) gli undici lavoratori fondano «Ceramica Noi» e investono per acquistare i macchinari utilizzati dalla vecchia proprietà, affittando il capannone. Utilizzano i soldi del Tfr per i primi mesi di stipendio e partono alla riconquista dei vecchi clienti, quasi tutti esteri (90% Stati Uniti e il resto America Latina), aprendo poi nuovi mercati. Il successo è incredibile. Torna l’attivo. «Io direi il super attivo — continua il presidente Brozzi —. Ufficialmente siamo sul mercato da agosto e ad oggi abbiamo già un utile di 90 mila euro con un trend in crescita. Siamo pronti a vendere in Francia, Germania e Inghilterra e ci stiamo preparando a sbarcare nei Paesi dell’Est. Abbiamo appena assunto altre tre persone».
Non arrendersi mai
E al lavoro come va? Meglio com’era una volta o adesso? «Si lavora di più e ci sono un sacco di grattacapi da risolvere — dicono in coro gli undici soci — ma questa fabbrica oggi la sentiamo nostra, le vogliamo bene, è parte di noi. Siamo una famiglia di operai-imprenditori». Che domenica scorsa ha festeggiato la rinascita con una festa in azienda al quale ha partecipato anche il sindaco di Città di Castello, Luciano Bacchetta. Emozionato pure lui. «Un esempio straordinario di voglia di farcela — commenta —. Questa è gente che non si arrende, che ha voglia di lottare e vincere, che ama il lavoro e la sua terra. Questa è proprio la mia gente».
Corriere.it
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