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Un pallone oltre le sbarre. La prima trasferta dei ragazzi del Beccaria

Mister Achini e la “Forti Dentro”: la squadra di calcio del carcere minorile, ieri in visita speciale all’Inter

Credit Foto - Avvenire - CSI

«Allora ragazzi, oggi si esce: si va in trasferta... Ad Appiano Gentile! L’Inter ci sta aspettando ». Nello spogliatoio del Carcere minorile Beccaria di Milano, l’annuncio, «a sorpresa» del “mister” Massimo Achini, ai suoi undici, «quasi tutti italiani figli di stranieri», i ragazzi della “Forti Dentro”, è accolto con lo stesso boato di San Siro dopo un gol di Mauro Icardi.

Il tempo di fare entrare nel piazzale dell’istituto penitenziario il pullman che li trasporterà alla Pinetina, che la squadra incomincia a sognare ad occhi aperti. Non sta nella pelle Renato («juventino, il bomber, quando vuole...», dice mister Achini) peruviano, il più grande del gruppo con i suoi 19 anni, siede in fondo al bus assieme ai compagni. Sorrisi raggianti, il sole splende sotto i cappellini da rapper, come quello dell’ecuadoriano Alex, che con Carlos, salvadoregno, e Renato, formano il “tridente dei lavoratori”.

«Qua dentro, oltre a trovare una squadra di calcio, ho imparato un mestiere, faccio quadri elettrici», dice Renato. Alex è un giardiniere e attore teatrale, ha da poco recitato al Piccolo. Carlos invece lavora come panettiere all’interno del forno del carcere e da due anni a questa parte «è maturato tanto», dicono gli educatori, «è diventato papà». Un ragazzo padre di 18 anni, che tratta con fare paterno, come un po’ tutti, la mascotte della squadra, il piccolo Omar. «Un numero “10” naturale: fuori, giocava nell’Accademia del Como».

Ed è dalle scorribande del lago, che Omar - madre italiana e padre tunisino - fisico esile alla Giovinco («era denutrito il giorno che ce l’hanno portato») è finito qui. Arrestato, «da un blitz dei Carabinieri, per qualcosa che è meglio non dire» sussurra - assieme a Maykel, stanco e assonnato «perché è la prima volta che esco» e Bilal che con la maglia dell’Inter ricorda tanto il giovane Adriano, l’“Im- peratore”: «Vero? Me lo dicono tutti che gli somiglio».

In fondo al pullman si intonano, ognuno per conto proprio, le canzoni dei rapper latinoamericani, e Alex «il cantante», su un foglio butta giù di getto un testo. È la lettera da consegnare «all’altro “mister”, Luciano Spalletti». È un viaggio lampo, così è stata anche la loro infanzia, bruciata in fretta, come l’ultima cicca fumata durante l’ora d’aria. È ossigeno puro questa giornata di libertà vigilata, una gita speciale che gli educatori come Donatella Maggi, da trent’anni al servizio dei minori a rischio, definiscono «un’impresa ».

Ed è grazie all’impegno del nuovo direttore del Beccaria, Cosima Buccoliero, è stato possibile compiere l’impresa. «Ci sono voluti sei mesi per convincere una decina di magistrati di sorveglianza, uno per ogni ragazzo, a sensibilizzarli sull’importanza di questa trasferta e soprattutto del valore umano e educativo che ha assunto la nostra squadra», spiega mister Achini che, fiero, indossa sopra alla camicia la t-shirt dei “Forti Dentro”. È un debutto esterno assoluto per la formazione, «nata due anni fa».

Una squadra di calcio a 5 creata all’interno del Progetto Carceri del Csi (Centro sportivo italiano, di cui Achini è anche il presidente della sezione di Milano). Innocenti evasioni, finalmente, per una nuova sfida.

Una sfida quotidiana che comincia dai 41 ragazzi condannati per reati, «spesso pesanti », che passa per gli educatori e arriva fino agli agenti della Polizia penitenziaria (una sessantina in servizio). Ragazzi anche loro, sono «l’altra squadra», gli agenti in borghese, a cui sovrintende il comandante Marco Casella.

Il comandante, a bordo dell’Alfa della Polizia, scorta questa carovana scanzonata che per un giorno mette da parte le paure e i traumi di vite sempre al margine, le macchie dei piccoli e grandi crimini che hanno sporcato la fedina penale ma soprattutto la coscienza di chi ha un disperato bisogno di rimettersi in gioco.

Sulla tribuna azzurra di Appiano Gentile, i “Forti Dentro” e gli agenti siedono fianco a fianco. Non è la classica asfissiante marcatura a uomo, ma un semplice “controllo umano”, come il dialogo che si instaura tutti i giorni nei corridoi del carcere, dietro le sbarre, e che oggi sconfina sul campo dei loro idoli della domenica. Di rigore oggi non ci sono le celle, qualcuno di loro è rimasto in isolamento, qualcun altro è stato trasferito nelle carceri degli adulti, altri «purtroppo entreranno» e magari anche nella squadra, «perché da noi succede come a voi al calciomercato », scrivono a Spalletti.

C’è anche chi esce ma per entrare nella comunità di recupero, alla Kairos di don Claudio Burgio, nume tutelare del Beccaria, come lo storico cappellano don Gino Rigoldi che alla domenica nel carcere officia la Santa Messa alla quale i ragazzi della squadra accorrono puntuali, come fanno agli allenamenti, ogni venerdì pomeriggio.

E in religioso silenzio assistono all’allenamento dei ragazzi di Spalletti. Rubano, ma solo con gli occhi, gli schemi e i movimenti di Ranocchia «grande amico, viene a trovarci spesso », le giocate rapide di Perisic e Lautaro Martinez, le «legnate» da fuori area e la collezione di tatuaggi di Nainggolan e Icardi. Tutti i i nerazzurri alla fine della partitella passano a salutare e autografare maglie e gagliardetti ai ragazzi del Beccaria. E mister Spalletti impartisce la tattica per il futuro.

«Le avete viste le ultime semifinali di Champions? Hanno confermato una cosa, che non bisogna mai perdere la speranza, nemmeno quando tutto sembra compromesso. Il vostro è un gol preso nei primi minuti... c’è ancora tutto il tempo per ribaltare il risultato e vincere la partita della vostra vita!».

Lezione recepita e ricambiata con la lettera all’Inter in cui hanno scritto: «Abbiamo capito quanto bisogna impegnarsi per realizzare i propri sogni, sogni che ognuno di noi ha, solo che deve imparare a capire, e a ha bisogno di capire come coltivarli».

Massimiliano Castellani - Avvenire



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