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Una notte con l'elemosiniere di Francesco. “Così restituiamo la dignità agli sfortunati”

Insieme al cardinale Krajewski preti, suore e volontari laici distribuiscono cibo ai poveri di Roma

Credit Foto - Domenico Agasso Jr

Davanti al torrione dello Ior, a pochi metri da Porta Sant’Anna, uno degli ingressi della Città del Vaticano, Daniele chiude il furgone. Nel bagagliaio ci sono scatolette di tonno, frutta, confezioni di latte, bottigliette d’acqua, shampoo, dentifrici.

La squadra oggi è composta da tre suore, Alina, Anna e Davida; un sacerdote, don Francesco; e da Rudolph. Alla guida del Fiat Ducato targato Scv sale il cardinale Konrad Krajewski, l’elemosiniere di Sua Santità, testa pensante e braccio operativo della carità del Pontefice. È arrivato alle 20 spaccate, dove tre o quattro volte a settimana attende i volontari per andare a portare vivande e materiale igienico-sanitario ai bisognosi della capitale. I poveri del Papa, vescovo di Roma.

Si recita un’Ave Maria, e poi si va, spediti sulle strade di Roma, a una delle stazioni dei treni, Termini, Ostiense, o, come questa sera, Tiburtina, nel parcheggio. Lì altri volontari attendono. E dove soprattutto, stremati dal caldo, aspettano i senzatetto, gli indigenti. Per sfamarsi, e per portare a casa - di chi ce l’ha - un po’ di rifornimenti. «Quello che gli diamo li fa andare avanti due o tre giorni», spiega Krajewski.

Il cardinale tuttofare non sta fermo un attimo. Ci sono catene umane e un gran viavai di gente - una quarantina di persone - che allestisce i tavoli. Si indossano pettorine gialle con su scritto «Elemosineria apostolica», mentre chi ha il distintivo rosso fa parte dei Cavalieri di Malta, Ordine assistenziale. I bisognosi si mettono in fila e iniziano a scorrere. Il menu della cena prevede pizza e focaccia, frutta, un piatto di riso alle verdure, uova e poi una varietà di dolci. E il caffè.

Il cibo è tutto «freschissimo, lo acquistiamo direttamente noi per evitare di dare prodotti in scadenza o che rischierebbero di avariare in poco tempo», precisa Krajewski. Di particolare importanza sono le banane, «molto nutrienti e dunque preziose per i tanti a cui mancano i denti».

Daniele, ex fotografo del Papa oggi impiegato al Dicastero per la Comunicazione, vede spesso scene di povertà, ma non riesce ad abituarsi, soprattutto a un’immagine: «Le donne anziane che trascinano il trolley per il rifornimento di cibo. Ci vedo la solitudine estrema alla fine della vita».

Ne incontriamo molte di anziane così, quasi tutte italiane, vestite dignitosamente, lì perché, quasi sempre, «usano la pensione minima per pagare l’affitto». È così per Anna, 81 anni, una vita a pulire le case degli altri, oggi piegata «da grossi problemi di salute», ci dice con un filo di voce. E anche per Celestina, 79 anni, che deve accudire un figlio con problemi psicologici dopo essere stata per anni una badante saltuaria, più spesso disoccupata: «Sono disperata», dice con le lacrime che le rigano il viso.

Valentina è una donna russa di 60 anni, vive in una casa popolare, ci racconta di suo figlio Alexander, 20 anni: «La cocaina e altre droghe lo stanno devastando. È un bravo ragazzo - dice senza più riuscire a trattenere il pianto - ma non riesce a uscirne».

È più allegro invece, sotto i suoi baffi, Simone. È uno dei tanti che cammina con le stampelle. Ha 61 anni, era un antennista, ma poi «dieci anni fa l’azienda ha chiuso i battenti», ci dice mimando il gesto del tirare giù una saracinesca, «e io poco dopo sono stato colpito da una malattia che destabilizza l’equilibrio, così non ho più trovato lavoro. Oggi sopravvivo, per modo di dire, con la pensione di invalidità».

C’è gente di tutte le nazionalità: oltre a italiani, slavi e africani, stasera sono particolarmente numerosi i peruviani.

E poi, i bambini. Se sono grandicelli – dai 4 o 5 anni in su – hanno la loro borsa da riempire. Altrimenti stanno nel passeggino, come Giulia, 2 anni, peruviana, occhi furbi, affamatissima: cerca di arraffare tutto quello che vede, suscitando sorrisi. Spesso i volontari di fronte ai piccoli trasgrediscono alla regola della razione uguale per tutti: senza dare troppo nell’occhio raggiungono la mamma e le infilano nella borsa qualche raddoppio di latte o tonno. A Marco, 35 anni, basta «una bottiglietta d’acqua in più, per mia moglie incinta».

Invece Ines, madre di Margherita, 1 anno appena compiuto, con gentilezza dice «no, grazie: tenete questo latte per chi ne ha più bisogno». Un silenzio ammirato e imbarazzato frena per qualche istante la «macchina umana» della distribuzione. Alla fine della trafila consegna il piatto di riso – abbondante, soprattutto quando lo riempie Krajewski - Antonella: il suo accogliente «buon appetito» scandisce il ritmo della serata. E ricorda che non si stanno gettando i viveri dall’alto in basso, ma «stiamo restituendo ai più sfortunati la dignità». Ripeterà 280 volte il suo «buon appetito», tante quante i pasti distribuiti.

Prima dei saluti, tutti i collaboratori si stringono attorno a Krajewski, che posa la scopa delle pulizie e invita a non dimenticare mai che «aiutare gli ultimi è il grido del Vangelo. Se non lo ascoltiamo, lo rendiamo solo una favola».

Questo articolo è stato pubblicato nell'edizione odierna del quotidiano La Stampa

Domenico Agasso Jr



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