Da Il Giornale de' letterati all'Osservatore romano. Breve storia del giornalismo cattolico
Le news passano per nuovi canali, sempre più molteplici e di vario genere
di Antonio Tarallo
L’informazione passa per i giornali, quelli che molte volte – in gergo tecnico –vengono chiamati “testate”. Il nome deriva da un fatto assai semplice: storicamente, il titolo di una pubblicazione è sempre stato posto “alla testa della pagina”. Certamente ora le news passano per nuovi canali, sempre più molteplici e di vario genere. Questo è ormai un dato ben consolidato, nel nostro Oggi. E , come abbiamo visto, Papa Francesco lo sa bene tanto da sottolineare questo aspetto “tecnologico” ogni qual volta si entri in argomento. Riguardo a questo avremo modo di approfondire in seguito. Ma ora “entriamo” nella Storia del giornalismo cattolico italiano per comprendere come questo importante filone si sia sviluppato, intrecciandosi con una Storia ancora più vasta: quella della Chiesa.
Ogni Storia ha la sua preistoria, si sa. E iniziare questo itinerario senza citare “Il Giornale de’ Letterati” (1668-1683), fondato dall’abbate bergamasco Francesco Nazari (1634-1714), risulterebbe una grave lacuna. Non solo a livello storiografico, ma anche “ideologico”, se così si può definire. Eh sì, perché “Il giornale de’ Letterati” annoverava – necessario ricordarlo – tra i suoi ideatori il cardinal Michelangelo Ricci, teologo e matematico insigne del Seicento. E’ importante sottolineare come questa rivista – divenuta poi “modello” per tutte le altre di genere letterario – contenesse recensioni delle più importanti pubblicazioni, soprattutto scientifiche, apparse all'estero. I fondatori si erano impegnati a fornire i riassunti delle opere in lingua straniera pubblicate in tutta Europa. Un’apertura/visione così moderna possiamo definirla solo che “straordinaria” vista l’epoca in cui la rivista è nata. In poche parole: la lotta dell’Illuminismo contro la sedicente Chiesa oscurantista, forse non era poi così fondata, visto che un giornale – e quindi un mezzo del sapere, della conoscenza – così scientifico e letterario, e di tale orizzonte europeo, era stato curato proprio da insigni prelati di Santa Romana Chiesa.
Dobbiamo necessariamente abbandonare la “premessa preistorica”. Anche se quest’ultima, facendo ritorno alle parole tanto care al Santo Padre su “verità” e “approfondimento”, potrebbe suscitare ai giornali di oggi, non poche questioni “da risolvere”: l’accuratezza e la scientificità delle notizie. Magari, un buon “compromesso” potrebbe risultare l’ utilizzare i nuovi strumenti di informazione, ricordando la famosa frase del nostro Verdi nazionale: “Ritorniamo all’antico, sarà un progresso”.
1850. Facciamo un bel passo in avanti. Gli anni trascorsi hanno visto cambiare diversi scenari della Storia italiana, e in particolare della Storia della Chiesa. Parliamo di una delle riviste più famose, più antiche e più prestigiose del panorama giornalistico cattolico e non: “La civiltà cattolica”. Fondatore il gesuita Carlo Maria Curci. Benedizione papale da parte di Pio IX che, proprio in quel periodo, si trovava a stretto contatto con il territorio partenopeo, essendo ospitato nella fortezza di Gaeta. La rivista nacque da un gruppo di Padri Gesuiti di Napoli, con il fine di preservare la “civiltà cattolica” dalle provocazioni dei massoni e dei liberali che agivano durante il periodo risorgimentale. Per questo si decise di utilizzare non il latino, bensì la lingua italiana per favorire una più ampia divulgazione.Folta e di forte spessore intellettuale, la prima redazione: Luigi Taparelli D'Azeglio (1793-1862), filosofo del diritto; Matteo Liberatore (1810-1892), cultore della filosofia tomista, e precursore dell'insegnamento sociale della Chiesa, al punto che Leone XIII lo chiamerà a stendere la Rerum Novarum; Antonio Bresciani (1798-1862), letterato; Giovanni Battista Pianciani (1784-1862), studioso di scienze naturali. Dunque, già dai percorsi biografici di ogni componente, si evince bene la poliedricità dell’informazione trasmessa dalla rivista.
La rivista, nel corso delle pubblicazioni, ha visto diverse trasformazioni. Rimasta sempre salda alla profondità, allo spessore degli argomenti trattati. Un continuo dialogo con la società, questo potrebbe definirsi il segreto di “Civiltà cattolica”.
Bisogna appunto sottolineare che nel periodo del Concilio Vaticano II questo dialogo (che prima, per alcuni aspetti, aveva più la sembianza di scontro con il troppo progressismo della società) andò intensificandosi. La rivista diede un'amplissima informazione sul Concilio tanto che alcuni suoi scrittori vi parteciparono anche in qualità di periti. Un tema scottante – e tra l’altro, per il suo sviluppo giornalistico all’interno della rivista, assai inerente al tema della “verità” – è stato, senza dubbi, quello riguardante la posizione dei cattolici sul delicatissimo argomento dell’antisemitismo. Il “fatto” ha radici lontane. Si sa che certa storiografia ha sempre accentuato – in un certo senso – il sedicente silenzio dei cattolici sulle leggi raziali e quant’altro. Nel 1938, l’ex direttore della rivista (dal 1915 al 1931), lo scrittore padre gesuita Enrico Rosa, in un suo importante articolo analizzava alcune critiche rivolte a “civiltà cattolica”, sulla questione ebraica. L'autore respinse le accuse secondo le quali la rivista assecondò nel 1890 due misure contro gli ebrei: la confisca dei beni e l'espulsione dall'Italia. Al tempo stesso l'articolo prendeva le distanze dal nascente antisemitismo fascista. Ecco la verità – e come si direbbe in un film di “Law and Order” – tutta la verità, niente altro che la verità.
La rivista esce il primo e il terzo sabato del mese. Complessivamente sono 24 quaderni l’anno, per circa 2.500 pagine in 4 volumi. Troviamo: articoli di formazione e riflessione teologica, filosofica, morale, sociale, politica e letteraria; quattro rubriche di cronaca: “Focus”, sull’attualità in Italia e all’estero; “Vita della Chiesa”; rubriche di documentazione come “Profili”, su personaggi di particolare rilievo, e “Documenti”; alcune note e commenti, che – partendo da interventi sulla stampa o da libri – presentano una lettura cattolica per una coscienza meglio informata in grado di decidere più liberamente; e in ultimo, una rubrica bibliografica con recensioni e segnalazioni, e schede di presentazione di un film o di una rappresentazione teatrale.
Undici anni dopo de “La Civiltà cattolica” fa il suo ingresso nella stampa, un altro caposaldo dell’informazione cattolica internazionale: “L’Osservatore Romano”. Un giornale che – senza dubbio – esprime, per antonomasia, l’informazione cattolica, visto che il suo editore è ufficialmente la “Segreteria per la comunicazione della Santa Sede”. Bisogna precisare – se no si fa confusione –
che non può essere considerato un organo ufficiale del Papa, visto che tale ruolo è ricoperto dagli “Acta Apostolicae Sedis”, gli unici atti informativi che ufficialmente esprimono la voce del Pontefice. La linea editoriale è autonoma. Bisogna comunque dire che “L'Osservatore Romano” rimane una delle tre fonti ufficiali di diffusione delle notizie riguardanti la Santa Sede, insieme a Radio Vaticana e al Centro Televisivo Vaticano. Rende noto e commenta le attività pubbliche del Santo Padre, e – inoltre – pubblica editoriali scritti da esponenti importanti della Chiesa cattolica.
Un articolo scritto dall’allora Arcivescovo di Milano Montini (che ne sapeva tanto di giornalismo cattolico, visto il padre Giorgio direttore de “Il cittadino di Brescia”), apparso nel 1961, ci dà un ritratto interessante del quotidiano in un periodo delicatissimo come quello della seconda guerra mondiale: “L'Osservatore ebbe allora una funzione meravigliosa, non già perché si fosse arrogato compiti nuovi e profittatori, ma perché continuò impavido il suo ufficio d'informatore onesto e libero. Avvenne come quando in una sala si spengono tutte le luci, e ne rimane accesa una sola: tutti gli sguardi si dirigono verso quella rimasta accesa; e per fortuna questa era la luce vaticana, la luce tranquilla e fiammante, alimentata da quella apostolica di Pietro. "L'Osservatore" apparve allora quello che, in sostanza, è sempre: un faro orientatore”. L’ultima frase, in fondo, è quella più importante e che rimane ancora oggi una consolidata verità: “faro orientatore”.
La nascita, il primo “vagito a caratteri stampati”, è del 1 luglio 1861. Sono passate poche settimane dalla proclamazione dell’Unità d’Italia. Nasce per iniziativa di un avvocato di Forlì, Nicola Zanchini, e un giornalista di Cento (Ferrara), Giuseppe Bastia. Lo scopo è difendere le ragioni di quello che resta dello Stato Pontificio. L’orientamento è ben riassunto nei motti che appaiono fin dal primo numero: “Unicuique suum”(A ciascuno il suo) e “Non praevalebunt” (Non prevarranno). Tutt’ora queste sono le “luci” che dirigono la barca. Sono impressi lì, sotto il nome della testata.
Sono 15 mila le copie di tiratura dell’edizione in italiano: Sette, le edizioni linguistiche settimanali in italiano, francese, inglese, spagnolo, portoghese, tedesco, malayalam (lingua parlata in India) e polacco.
Antonio Tarallo
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