Benedetto XV, il Papa della pace
di Redazione online
Il suo pontificato (1914-1922) si è svolto sotto il segno della guerra ed è stato caratterizzato dagli appelli alla pace contro «l'inutile strage» fin dalla sua elezione, e dall'assistenza dei prigionieri e dei feriti. Le sue proposte trovarono conferma nel tavolo dei negoziati dopo la guerra.
Il primo agosto 1917 Benedetto XV rivolgeva un messaggio ai capi dei Paesi belligeranti per ricordare loro che fin dall'inizio del suo pontificato (il messaggio era in francese e iniziava con le parole: Dès le début) non aveva smesso di levare la sua voce per invocare la pace.
Quel messaggio conteneva una frase che avrebbe finito per qualificare l'azione di quel Pontefice, tanto grande quanto forse un po' dimenticato. Dopo aver ricordato le condizioni che a suo avviso potevano costituire le basi per un cammino di pace, scriveva: «Siamo animati da una dolce speranza, quella di vederlo accettato [tale cammino] e di vedere così terminare a l più presto la lotta terribile, che appare sempre più come un massacro inutile». Il termine “massacro” venne tradotto in italiano con la parola “strage”, e così quel testo pontificio fu praticamente sempre presentato come il discorso sulla “inutile strage”.
Vani gli sforzi del Papa
Benedetto XV veniva dalla diplomazia e da un’esperienza pastorale come arcivescovo di Bologna. Sembrava quindi adatto ad affrontare problemi di politica estera. Avrebbe però concluso la preparazione del Codice di diritto canonico, avviata da Pio X, ponendo poi le premesse per una svolta nella storia delle missioni, dando il primo vero impulso a quella che sarebbe stata chiamata l’inculturazione e creando le premesse per i nuovi rapporti con le Chiese orientali.
Si sarebbero però rivelati vani i suoi sforzi per convincere i belligeranti a smettere “l’inutile strage”, una frase che gli sarebbe stata rimproverata da tutti, soprattutto dai francesi e inglesi, che interpretarono il messaggio pontificio come una difesa degli imperi centrali, che pareva fossero ormai avviati alla sconfitta. Un commento significativo, se così si può dire, venne dal ministro italiano Sonnino: dichiarava che la nota pontificia «certamente non apparisce come un atto amichevole verso l’Italia».
Non va d’altronde dimenticato che il governo italiano aveva chiesto e ottenuto, al momento in cui con il patto di Londra l’Italia s’impegnava a entrare nel conflitto a fianco delle potenze dell’Intesa, che la Santa Sede fosse esclusa dai futuri negoziati di pace, al termine del conflitto. Vi era forse il timore che, fra le questioni territoriali che quei negoziati avrebbero certamente dovuto risolvere, il Vaticano chiedesse che fosse inserita la questione romana, il conflitto tra lo Stato italiano e la Chiesa apertosi nel 1870 in seguito all’occupazione di Roma da parte delle truppe italiane.
Il tema della pace
La nota pontificia del 1° agosto 1917 non avrebbe dovuto sollevare stupore in quanti avessero seguito le scelte e le strategie messe in atto da Benedetto XV fin dall’inizio del suo pontificato. Eletto il 3 settembre 1914, già nel suo primo messaggio pubblicato l’8 settembre rivolgeva «un’esortazione a tutti i cattolici del mondo per la pace»; esprimeva quindi la sua angoscia «nel contemplare tutto quanto l’immane spettacolo di questa guerra, per la quale vediamo tanta parte d’Europa, devastata dal ferro e dal fuoco, rosseggiare di sangue cristiano».
Il tema della pace tornava insistente anche nella sua prima enciclica, Ad beatissimi apostolorum principis, del 1° novembre 1914, nella quale tra l’altro utilizzava già quelle frasi che tre anni dopo avrebbero sollevato stupore. Parlava infatti di «gigantesche carneficine e stragi». Riprendeva quindi le considerazioni fatte l’8 settembre 1914, in uno scritto del 28 luglio 1915, dopo l’ingresso in guerra dell’Italia, la cui neutralità era stata approvata dal Vaticano.
L’azione della Santa Sede non si limitava però alle esortazioni e alla condanna del conflitto. Nel volgere di poco tempo in Vaticano s’iniziò una vasta opera tesa ad alleviare le enormi sofferenze delle popolazioni in guerra, attivando i Nunzi Apostolici e diversi collaboratori perché si occupassero dello scambio dei prigionieri, dell’assistenza o del rimpatrio dei feriti. Furono decine di migliaia i soldati che tornarono in patria o furono ricoverati in ospedale, soprattutto in Svizzera, per essere curati: si trattava di una vera e propria “diplomazia dell’assistenza” che affiancava i vari tentativi di portare gli Stati a superare il conflitto e ritrovare le vie del dialogo.
L’attività diplomatica sarebbe diventata più intensa con l’invio a Monaco come Nunzio, nel maggio 1917, di Eugenio Pacelli, il futuro Pio XII. Egli aveva cercato di convincere le autorità tedesche a giungere a negoziati per la pace, sulla base di alcune proposte che prevedevano il ristabilimento dell’indipendenza del Belgio, la limitazione degli armamenti, l’istituzione di tribunali internazionali e accordi tra i vari Paesi coinvolti in questioni territoriali.
Erano in parte le proposte che avrebbe fatto il Pontefice con la ricordata nota dell’agosto 1917, dove si parlava di «inutile strage», e dove veniva anche ricordato quale era stato l’atteggiamento del Pontefice fin dai primi giorni del sui pontificato: conservare una totale imparzialità verso tutti i Paesi belligeranti, fare del bene a tutti, al di là delle distinzioni di nazionalità e religione, e infine non lasciare nulla di intentato nel cercare di affrettare la fine di simile calamità, spingendo i responsabili dei diversi Paesi alla ricerca di una pace giusta e duratura.
Agli appelli accorati il Papa faceva seguire una serie di proposte concrete, fondate sull’auspicio che alla forza delle armi subentrasse la forza morale del diritto, insistendo tra l’altro sulla necessità dell’istituzione di una arbitrato tra gli Stati cui tutti si sentissero vincolati. Si trattava di un appello diretto in particolare al mondo cristiano, ma rivolto a tutti gli uomini, ai quali si chiedeva di riscoprire la fratellanza universale fondata sul riferimento all’unico Dio.
Abbiamo già ricordato le reazioni negative nei vari Paesi nei confronti della nota del Pontefice, una nota che in futuro sarebbe stata considerata uno dei gesti più significativi di Benedetto XV nell’ambito della politica internazionale. La nota tra l’altro precedeva, e su alcuni punti quasi anticipava, i noti quattordici punti che nel gennaio 1918 sarebbero stati enunciati dal presidente Wilson: venivano così a convergere, sui problemi dell’ordine internazionale, le posizioni espresse da un’autorità spirituale come il Sommo Pontefice e da un’autorità politica come quella del presidente degli Stati Uniti d’America, tra l’altro ben poco incline ad ascoltare le parole del Pontefice.
Il Papa avrebbe avuto ancora varie occasioni per tornare ad auspicare la pace, ricordando che i trattati che i vari Paesi stavano preparando dovevano essere fatti in modo da evitare di porre i germi per nuovi rancori. Sappiamo che invece furono proprio i trattati di pace a porre le premesse per altre guerre, con la divisione del mondo in zone d’influenza e con la conferma della egemonia nella politica internazionale delle potenze coloniali.
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