La "tre giorni" Francescana
di GIACOMO GALEAZZI
Duemila frati di tutte le famiglie francescane
si riuniranno ad Assisi per il Capitolo
delle Stuoie dal 15 al 18 aprile e
celebreranno insieme gli 800 anni della
Regola di San Francesco e della fondazione
dell'ordine. Un evento moderno e
antico al tempo stesso. Il Capitolo delle
Stuoie ha origine ai tempi di San Francesco,
il quale convocava ad Assisi tutti i
suoi frati anche chi era impegnato nella
evangelizzazione in paesi lontani, per discutere
delle varie realtà e problematiche.
I frati convenuti ad Assisi in gran numero,
non avendo dove dormire, si adagiarono
sulle semplici ed umili “stuoie”. Nel 2009
lo spirito originario del Capitolo rivive
in giornate di straordinaria intensità spirituale.
La “tre giorni” francescana si apre
il 15 aprile con la rifl essione comunitaria
sul tema quanto mai attuale dell'accoglienza,
verrà estesa ad altri aspetti fondamentali
(la testimonianza, la penitenza e
il digiuno, la gratitudine). Un forum dello
spirito nella serafi ca città d'Assisi, presso
la tomba del Poverello, sorgente viva
del carisma francescano.
L'incontro farà
rivivere appunto quella prima e singolare
assemblea voluta da San Francesco. Una
sollecitudine che richiama le sue ultime
volontà (l'amore reciproco tra i frati,
l'amore per la povertà evangelica, l'amore
per la Chiesa) attualizzandole in un'analisi
dinamica delle mutate condizioni del
tempo presente. Un quadro in continua
evoluzione nella luce dei disegni provvidenziali
di Dio. La principale preoccupazione
dei duemila frati chiamati ad Assisi
sarà sottolineare il senso e le conseguenze
del nome che San Francesco ha dato
loro. Non a caso il fondatore li ha voluti
chiamare “Frati”, “Fratelli”.
“I termini Fraternità
e Fratello esprimono signifi cativamente
per voi la novità evangelica del comandamento
nuovo sottolineò sei anni fa Karol
Wojtyla ricevendo i superiori francescani
. L'essere fratelli deve caratterizzare i vostri
atteggiamenti verso Dio, verso voi stessi, verso
gli altri e verso tutte le creature. Pertanto, in
funzione del fondamentale valore evangelico
della fraternità vissuta, assumono per voi
connotati propri la spiritualità, il modo di
vivere, le scelte operative, i criteri pedagogici, i
sistemi di governo e di convivenza, le attività
e i metodi apostolici, insomma la vostra stessa
identità carismatica di gruppo ben defi nito all'interno
della Chiesa”.
E la forma di vita
in fraternità costituisce una sfi da e una
proposta nel mondo attuale, spesso lacerato
dall'odio etnico o da follie omicide,
percorso da passioni e da interessi contrastanti,
desideroso di unità ma incerto
sulle vie da prendere. “Vivere la fraternità
da veri discepoli di Gesù può costituire una
singolare benedizione' per la Chiesa e una
terapia spirituale' per l'umanità” evidenziò
il Pontefi ce. La fraternità evangelica,
infatti, ponendosi “quasi come modello e
fermento di vita sociale, invita gli uomini a
promuovere tra loro relazioni fraterne e a unire
le forze in vista dello sviluppo e della liberazione
di tutta la persona, nonch per l'autentico
progresso sociale”.
Quali fratelli e membri
di fraternità, i seguaci di San Francesco
costituiscono un “Ordine di fratelli”. Un
peculiare stile fraterno che rifl ette e favorisce
il senso di appartenenza di ciascuno
a una grande famiglia senza frontiere. E
proprio le “Stuoie” diventano l'emblema
di una conversione continua e totale alla
“fraternità” da parte degli individui. Un
momento di aggregazione planetaria che
si confi gura come una sorta di globalizzazione
della carità, con la possibilità di
disporre delle risorse individuali e comunitarie.
Un ritorno allo spirito del giorno
in cui San Francesco desiderò riunire ad
Assisi tutti i suoi frati che, giunti numerosi,
si accamparono sulle stuoie nel bosco
di Santa Maria degli Angeli. Quella prima
assemblea francescana fu chiamata capitolo
delle Stuoie e il 2009 ne sperimenta
l'attualità del messaggio che, come ha fatto
recentemente il cardinale Roger Etchegaray,
si collega idealmente allo Spirito di
Assisi, secondo l'espressione di Giovanni
Paolo II.
Dal 27 ottobre 1986 questo “spirito”
si è diffuso un po' ovunque, conserva
la forza viva del momento in cui si è
scaturito. Allora fu suffi ciente un breve
incontro su una collina, qualche parola,
qualche gesto, perch l'umanità straziata
riscoprisse nella gioia l'unità delle sue origini.
Quando, alla fine di una grigia mattinata,
l'arcobaleno è apparso nel cielo di
Assisi, i capi religiosi riuniti dall'audacia
profetica di uno di essi, Giovanni Paolo
II, vi hanno scorto un richiamo pressante
alla vita fraterna: nessuno poteva più dubitare
che la preghiera avesse provocato
quel segno manifesto dell'intesa tra Dio
e i discendenti di Noè. “Nella cattedrale di
San Rufi no, quando i responsabili delle Chiese
cristiane si sono scambiati la pace, ho visto le
lacrime su certi volti e non dei meno importanti
racconta il porporato . Davanti
alla basilica di San Francesco, dove, intirizzito
dal freddo, ognuno alla fi ne sembrava
serrarsi strettamente all'altro (Giovanni Paolo
II era vicino al Dalai Lama), quando giovani
ebrei si sono precipitati sulla tribuna per offrire
rami di ulivo, in primo luogo ai musulmani,
mi sono sorpreso ad asciugare le lacrime sul
mio viso”.
Assisi ha fatto fare alla Chiesa
uno straordinario balzo in avanti verso le
religioni non cristiane che ci apparivano
vivere fi no a quel momento in un altro
pianeta nonostante l'insegnamento di
Paolo VI (nella sua prima enciclica Ecclesiam
suam) e del Concilio Vaticano II
(la dichiarazione Nostra aetate). Insomma
Assisi quale il simbolo, la realizzazione di
ciò che deve essere il compito della Chiesa,
per vocazione propria in un mondo
in stato fl agrante di pluralismo religioso:
professare l'unità del mistero della salvezza
in Cristo. Come i figli di Francesco
riuniti alle “Stuoie”.
GIACOMO GALEAZZI
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