“Quando i Santi pregano” Il rapporto di alcuni santi con la preghiera
Non si può non iniziare con lo stesso San Francesco
di Antonio Tarallo
“Si prega con coraggio, perché quando preghiamo abbiamo un bisogno, normalmente, un bisogno. Un amico è Dio: è un amico ricco che ha del pane, ha quello del quale noi abbiamo bisogno. Come se Gesù dicesse: “Nella preghiera siate invadenti. Non stancatevi”. Ma non stancatevi di che? Di chiedere. Chiedete e vi sarà dato”. Le parole del pontefice, di qualche giorno fa, pronunciate durante l’omelia della messa mattutina di Santa Marta, hanno colpito in pieno molti fedeli, la stampa, e il mondo mediatico tutto. Sembra proprio che in questo momento storico della Chiesa, ma si potrebbe ben dire di tutta l’Umanità, la parola chiave sia “preghiera”. Papa Francesco con la sua richiesta della recita del Rosario, prima, e ora, con queste recenti riflessioni sulla potenza e importanza della preghiera, sembrano dare una “direzione” da seguire, nel presente e nei giorni avvenire.
Preghiera, un silenzio di dialogo fra due persone. L’Uomo e Dio, e sarà anche banale dire: i Santi ne sanno qualcosa. Ed è così che viene subito alla mente cosa ci dice a riguardo, il Santo Curato d’Ars: “Io lo guardo, Lui mi guarda”. Mirabile sintesi, del tutto. Ma non è solo questo, certamente. E cercare di scoprire, almeno in parte – visto la natura più che intima dell’ “argomento” – come queste grandi figure della Chiesa si confrontassero con la preghiera, è un viaggio che “San Francesco, patrono d’Italia” vuole fare assieme ai lettori.
Non si può non iniziare con lo stesso San Francesco, l’ “uomo-preghiera”, definizione coniata/celebrata da Celano nella biografia del Santo. Ma cosa faceva, cosa chiedeva San Francesco in preghiera? Ci viene offerta, proprio da Celano, una viva testimonianza dell’evento:
“Alla periferia della città c’era una grotta (…) Supplicava devotamente Dio eterno e vero di manifestargli la sua via e di insegnargli a realizzare il suo volere. Si svolgeva in lui una lotta tremenda, né poteva darsi pace finché non avesse compiuto ciò che aveva deliberato. Mille pensieri l’assalivano senza tregua e la loro insistenza lo gettava nel turbamento e nella sofferenza. Bruciava interiormente di fuoco divino, e non riusciva a dissimulare il fervore della sua anima. Deplorava i suoi gravi peccati, le offese fatte agli occhi della maestà divina”.
Fino all’uomo-preghiera San Francesco, possiamo dire, mutuando un’espressione calcistica “si gioca in casa”. Allora, prepariamoci ad andare “in trasferta”. Siamo in Polonia. E se parliamo di questa terra, una figura ci viene subito in mente. Lui, sì, San Giovanni Paolo II. Un lato, poco esplorato del Santo, ci parla di un Wojtyla mistico, anche lui come San Francesco, immerso pienamente nella preghiera. Prima di essere eletto papa, l’arcivescovo di Cracovia, Karol Wojtyla si ritirava spesso in preghiera nella cappella dell’arcivescovato. Lì, ci racconta il segretario Dziwisz ( in “Accanto a Giovanni Paolo II” , Edizioni Ares), aveva un tavolino con una lampada. Sopra di esso, libri, pagine bianche o vergate. Il lavoro di redazione di un articolo o di un discorso, di una omelia, intrecciato alla preghiera. E poi le giornate colme delle cosiddette “preghiere canoniche” che scandivano il ritmo della giornata: la Liturgia delle Ore, il Rosario, le Litanie al Sacro Cuore di Gesù, la Via Crucis. Programma che, una volta eletto pontefice, non ebbe cambiamenti: gli impegni di stato, seppur pressanti, non erano di impedimento a conservare una vita in piena contemplazione di Dio, appunto nella preghiera. E la giornata del pontefice, non poteva finire, se non con una preghiera come Vescovo di Roma, guardando la piazza di San Pietro, dalla famosa finestra del Palazzo Apostolico, benedicendo il “popolo capitolino”. Ma una preghiera, in particolare, era nel cuore di Giovanni Paolo II, l’invocazione allo Spirito Santo. Una preghiera, come lui stesso ricorderà, imparata da bambino. Così racconta, nel gennaio 1980, Wojtyla a un gruppo del Rinnovamento Carismatico: “Quando ero piccolo ho imparato a pregare lo Spirito Santo. Quando avevo 11 anni mi sentivo triste perché avevo molti problemi con la matematica. Mio padre mi mostrò in un libretto l’inno Veni Creator Spiritus e mi disse: ‘Recita questo e vedrai che Egli ti aiuterà a capire’. Ho recitato questo inno ogni giorno per più di 40 anni, e ho visto quanto ci aiuti lo Spirito divino”.
Altro monumento di preghiera, è stata Madre Teresa di Calcutta. In tutti, il ricordo della sua immagine con in mano l’usurato Rosario di legno, semplice. Semplice, come la sua preghiera, vissuta in assoluto silenzio. Era questo, il fattore determinante del suo dialogo con Dio. Una preghiera vissuta, fin dalle prime luci dell’alba e finiva al tramonto, per poi sfociare nelle prime ore della notte. Un continuo affidamento a Dio, un grano dopo l’altro del Rosario. Per le vie di Calcutta, tra i poveri, nell’accogliere l’ “ultimo degli ultimi”, si vedeva Madre Teresa, con la mano, sgranare sempre la corona dedicata a Maria. E i pensieri verso le persone incontrate s’immettevano in quella preghiera instancabile. Memorabile il discorso all’Onu, il 26 ottobre 1985: “Io sono soltanto una povera suora che prega. Pregando, Gesù mi mette nel cuore il suo amore e io vado a donarlo a tutti i poveri che incontro sul mio cammino”. Fece un momento di silenzio, e poi aggiunse: “Pregate anche voi! Pregate e vi accorgerete dei poveri che avete accanto”.
E fu proprio la preghiera a far deporre la spada di guerriero a Sant’Ignazio di Loyola. Lui che diverrà poi, lo sappiamo bene, un maestro del dialogo con Dio. Ferito nella battaglia di Pamplona(1521), Ignazio si dedica alla lettura e allo studio. Successivamente, compie il pellegrinaggio al monastero benedettino di Montserrat. Lì si narra, cade in una preghiera profonda, mistica che lo “sfianca” anche fisicamente. Avviene davanti a una statua lignea del XIII secolo che rappresenta la “Vergine Nera”.
Non meno di cinque Rosari al giorno, non meno. Questo dato è assai indicativo del rapporto di San Pio da Pietrelcina con la preghiera. Pregava per tutte quelle persone che, a voce o per lettera, si erano raccomandati alle sue preghiere. Inoltre pregava per altre anime sconosciute, per le quali si sentiva interiormente ispirato a pregare. Il Rosario, dunque, era un fedele compagno delle sue giornate, tra le ore interminabili del confessionale e la messa. E, per le tante richieste di intercessione era solito pregare la “Novena Efficace al Sacro Cuore di Gesù”, composta da Santa Margherita Maria Alacoque, vissuta nel XVII secolo, famosa per aver ricevuto molteplici visioni di Gesù. Le prime parole di questa Novena suonano così: “O mio Gesù, che hai detto: “In verità vi dico, chiedete ed otterrete, cercate e troverete, picchiate e vi sarà aperto!”, ecco che io picchio, io cerco, io chiedo la grazia…”.
Antonio Tarallo
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