Arcivescovo Benevento: Buddha e San Francesco, ecco perchè...
Un uomo pacificato, forgiato dalla sofferenza, bruciato dall’amore, desideroso di comunicare a tutti la salvezza ottenuta dal Signore
di Felice AccroccaNell’incontro con il Consiglio supremo “Shanga” dei monaci buddisti, nel corso del suo viaggio apostolico in Myanmar e Bangladesh, Papa Francesco ha citato ieri (29 novembre) alcune parole del Buddha, capaci di offrire “a ciascuno di noi una guida: «Sconfiggi la rabbia con la non-rabbia, sconfiggi il malvagio con la bontà, sconfiggi l’avaro con la generosità, sconfiggi il menzognero con la verità» (Dhammapada, XVII, 223).
Sentimenti simili – ha continuato il Papa – esprime la preghiera attribuita a San Francesco d’Assisi: «Signore, fammi strumento della tua pace. Dov’è odio che io porti l’amore, dov’è offesa che io porti il perdono, […] dove ci sono le tenebre che io porti la luce, dov’è tristezza che io porti la gioia»”. L’accostare Buddha a san Francesco d’Assisi potrà forse ad alcuni sembrare azzardato, ma non lo è. Si può, anzi, proseguire sullo stesso tracciato. Il Papa ha sostenuto infatti – ed è difficile non essere d’accordo con lui – che “la grande sfida dei nostri giorni” “è quella di aiutare le persone ad aprirsi al trascendente.
Ad essere capaci di guardarsi dentro in profondità e di conoscere sé stesse in modo tale da riconoscere le reciproche relazioni che le legano a tutti gli altri. A rendersi conto che non possiamo rimanere isolati gli uni dagli altri”. “Aiutare le persone ad aprirsi al trascendente”, “ad essere capaci di guardarsi dentro in profondità”: a questo tende anche la filosofia del Buddha, attraverso un percorso severo di meditazione che mira a ricostruire la quiete, l’armonia in se stessi e con gli altri. Ma questi stessi valori promanano da uno dei testi più belli di Francesco d’Assisi.
Negli ultimi anni della sua esistenza, infatti, egli invitò ripetutamente i frati ad aderire senza riserve al Signore Dio e a consegnare a Lui la loro vita. L’eco dei suoi discorsi ci è stata conservata nelle Ammonizioni, la penultima delle quali (num. XXVII) trasmette una straordinaria pace interiore.
Asseriva Francesco: “Dove è carità e sapienza, ivi non è timore né ignoranza. Dove è pazienza e umiltà, ivi non è ira né turbamento. Dove è povertà con letizia, ivi non è cupidigia né avarizia. Dove è quiete e meditazione, ivi non è affanno né dissipazione. Dove è il timore del Signore a custodire la sua casa, ivi il nemico non può trovare via d’entrata. Dove è misericordia e discrezione, ivi non è superfluità né durezza”.
Gran parte di questo testo non sarebbe stato sottoscritto anche da Buddha?
L’uomo che ne emerge, in questo caso Francesco, è infatti un uomo pacificato, forgiato dalla sofferenza, bruciato dall’amore, desideroso di comunicare a tutti la salvezza ottenuta dal Signore. Un uomo riconciliato con se stesso e con la propria storia, capace perciò di accogliere ogni evento e ogni persona come dono. Cristianamente possiamo dire che è l’uomo della Pasqua, che ha sperimentato la croce fino a provare sulla sua carne la trafittura dei chiodi, che ha lottato con il Signore faccia a faccia, che ha avuto anche i suoi momenti di debolezza e sofferto la prova di tentazioni tremende, ma che si è mantenuto fedele, perché fedele era stato Colui che per amor nostro aveva consegnato il proprio corpo alla morte. Per questo era capace di gioire della vita, perché ne aveva compreso fino in fondo il valore; sapeva che tutto passa – decisione improvvida, perciò, il puntare sulle cose – e Dio solo resta.
Ripetere il suo percorso vuol dire per noi accogliere con serenità gli eventi, accettando il dolore e la morte nella consapevolezza che essi non sono la meta definitiva. Vuol dire trasformare il dolore in amore, senza masticare rabbia e meditare vendette, perché così ha fatto il Signore; vuol dire gioire delle piccole cose, contentandosi di quel che si ha, senza ardere di gelosia o d’invidia; vuol dire, in definitiva, amare la propria persona così com’è, perché con la nostra povertà Dio vuol realizzare grandi cose. Su questo terreno, e senza venir meno al deposito della fede, non è auspicabile un incontro? Come si vede, tratti di strada comuni sono possibili! Ha ragione dunque Papa Francesco: “Possano i buddisti e i cattolici camminare insieme lungo questo sentiero di guarigione, e lavorare fianco a fianco per il bene di ciascun abitante di questa terra”.
Felice Accrocca
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