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V OPERA DI MISERICORDIA CORPORALE, CURARE GLI INFERMI

Non è facile, a volte, quando è il dolore a farti visita, quando è un tuo coetaneo a trovare la morte per mano di chi usa la parola di Dio, non è per niente automatico, dicevo, trovare l’ispirazione per approfondire le migliori intenzioni umane, ora violate dal fragore della violenza, dai colpi di un kalashnikov. Se il dolore viene a bussare alla tua di porta, non c’è niente da fare, lo senti più vicino di quanto la tua immedesimazione lo possa solo percepire quando è più lontano, in Libano, in Iraq, in Siria, in un aereo carico di passeggeri che esplode in cielo. Il dolore è incomprensibile se è lontano da noi, se non lo si è andato a visitare, a conoscere, e allora sembra più semplice scrollarselo di dosso perché la speranza di annullarlo è più forte, e forse perché in quel dolore non ci si vuole riconoscere: in fondo, ciò che non ha senso è un vuoto simulacro. Il terrorismo internazionale vuole che sia il dolore senza senso a farci visita, in casa. Cristo, Francesco, due uomini che il dolore altrui lo hanno raccolto per tramutarlo in accoglienza, in una mano tesa che rialza chi è caduto, in ciò che di meglio l’umanità può offrire a sé stessa. È una questione di educazione all’amore, il Cristianesimo, e tutto ciò che non educa all’amore è banalità del male. La nostra condizione umana, che può essere dedita all’amore, ha allo stesso tempo il germe del male che ne condizionerà sempre l’esistenza. Ma ogni donna e ogni uomo sono potenti, hanno l’antidoto al male.

Dopo questa premessa, che il lettore vorrà perdonarmi, devo ammettere che non ho ancora esaurito la necessità di dichiarare i miei intenti: nell’articolo che mi accingo a scrivere chiedo che mi venga a “visitare” l’ispirazione, questa volta, perché l’ho perduta. Perduta nel silenzio del fragore, e sono attonito per la barbarie odierna insita nell’essere umano. Anche io sono fatto di quella stessa carne capace di produrre male. A volte, lo storico o il giornalista che scrive di Storia, contemporanea o passata, teme che il suo esprimersi sia solo autocelebrazione di chi pensa di potere offrire una cura al male. Che possano allora essere altre le parole, anzi, le immagini di meraviglia umana a tramutare in Bellezza la mia momentanea infermità nell’esprimermi, il mio non sapere trovare ragione, per poter trattare al meglio della Quinta Opera di Misericordia Corporale di Gesù, il visitare gli infermi, in chiave francescana.

Ma poi cosa significa visitare l’infermo? Mi chiedo in questo periodo di deserto. La risposta è nella misericordia attuata da Francesco d’Assisi. L’infermo è colui che è impossibilitato a essere nel pieno della sua salute, fisica e mentale, e il nostro interessamento per lui è uno sforzo immane nella maggioranza dei casi perché è difficile ma teso a cambiare quella condizione orribile. Non è per niente una cosa semplice visitare un infermo, qualsiasi sia la malattia o dolore interiore che ne determina il suo stato invalidante: come può essere bella la sofferenza tanto da dedicarvi del preziosissimo tempo? È difficilissimo donare forza vitale a chi non ce l’ha o non la vuole avere più. Io sono fortunato, sto bene. Ma come tanti, altri, mi sono ritrovato nella condizione di sofferente, in attesa di una visita che potesse almeno rincuorarmi. E quella visita c’è stata o, meglio, l’ho riconosciuta tra le tante che sono state invece vane. È nell’incontro che credo avvenga il cambiamento, come quando un innamoramento inaspettato per qualcuno consente all’innamorato di dimenticare tutto il male che lo aveva intossicato, prima, quando il suo cuore era solo un ticchettio in attesa del risveglio. Veniamo alla “visita” che mi venne fatta. Qualcuno mi consigliò di vedere un film, un giorno, perché mi sarebbe sicuramente piaciuto. La pellicola in questione è Francesco (1989) di Liliana Cavani. In quel periodo il film era datato da una quindicina di anni, e io, approfondivo la figura del santo in alcuni suoi aspetti. Ancora non mi era capitato di “vedere” realmente Francesco d’Assisi, l’uomo. Cioè, ero ben conscio che tutta la documentazione storica concernente Francesco, biografie, racconti, testimonianze, e soprattutto la loro interpretazione poteva in qualche modo aver turbato la sua vita. L’immagine e il modello francescano di derivazione letteraria rischiavano di aver distorto il vero Francesco. Quella mirabile opera d’arte che è dentro il film della Cavani ha invece permesso ai miei occhi di riconoscere il volto umano di un individuo reale, fatto della mia stessa carne, appunto, e che ha rivoluzionato il mondo offrendo il meglio che potenzialmente la stessa umanità, ripeto, la stessa che produce il male, ha nelle sue mani.

Nella “sovversiva” creatura che la regista ha proposto con il suo Francesco emerge un’inchiesta storica perfettamente riuscita sul mistero di un carisma. Questa vita di santo si ripropone più che mai come emblema di una rivolta giovanile contro il non senso, e come sguardo di un Francesco immanente, vicino a qualsiasi sofferenza. Le immagini che derivano da una sceneggiatura cinematografica di tale caratura colgono nel segno, assimilando le vicende di Francesco a una visita del santo all’infermo che è presente in ogni essere umano. È impossibile non amare l’uomo nato da questo ritratto fatto di sensazioni e gesti tangibili, non di poteri sovrannaturali di santi supereroi. Il Francesco della Cavani è un’eccezione nel suo presentarsi come narrazione della vita di un santo, e la scrittura che caratterizza il tessuto della sceneggiatura è la visone di un cittadino del mondo che oltre al piacere scopre violentemente la miseria, la violenza, le umiliazioni, le percosse, la fame, ma anche il rimedio. Riporterò una serie di rappresentazioni che ordiscono proprio dalle righe di quella sceneggiatura, richiamando le visioni di più chiara partecipazione, e visita volontaria, del santo alla quotidiana sofferenza di un’umanità carica di una moltitudine di infermità, ottemperando così al suggerimento di Cristo: prendere coscienza del dolore in tutti gli strati sociali. Andare in visita significa essere presenti, accorgersi e fare proprio lo stato d’animo altrui o di una determinata situazione. Spesso, è lo stesso Francesco l’infermo che attende una visita. I passi del soggetto del film che citerò, riadattandoli allo spazio qui a disposizione ed evidenziandone i momenti di “visita” con protagonista il santo, sono estratti dunque da Francesco. Sceneggiatura di Liliana Cavani e Roberta Mazzoni. Milano 1989. Si avrà l’impressione di non percepire chi veramente sia la persona che la riceve, l’utile visita, e si compone una riflessione, mano a mano, su chi sia da ritenere il vero infermo.


BARACCOPOLI FUORI ASSISI


È un raggruppamento di legno e fango in parte appoggiate alle mura di San Damiano. Sentieri fangosi che brulicano di bambini, donne che si intravedono dentro con i bambini più piccoli. Pianti e grida. Francesco non vede i poveri per la prima volta, se ne vedono molti anche in città. Ma non è mai stato tra loro, dove essi vivono. Qui gli stanno intorno, lo guardano, i bambini lo toccano. Ne è circondato e prova un senso di panico. Un bambino gli si attacca alla cintura. Francesco gliela regala più per imbarazzo che per altro. Sente un lamento da dentro un tugurio. Entra anche per sottrarsi alla morsa dei bambini. Una ragazza su della paglia, pallidissima, che emette continui lamenti. Una vecchia paralitica (Irene) lì vicino che guarda il vuoto.


Francesco

Cos’ha?


La vecchia non risponde, scuote la testa senza guardarlo. Francesco non sa cosa fare. La ragazza gli prende la mano e lui fa quasi un balzo, ma poi si calma. Lascia la sua mano in quella della ragazza che lo guarda ma in preda a una gran febbre. È sudatissima, ma ha occhi belli, neri.

***

SAN DAMIANO

Francesco, raggomitolato su se stesso, è appoggiato al muro. Ha acceso un fuoco lì nella chiesa per scaldarsi: ha soltanto i pantaloni e neanche le scarpe. Alla luce del fuoco legge il Vangelo della prigione. Lo chiude. Chiude gli occhi. Non si accorge di una figura che si avvicina incerta al fuoco per scaldarsi le mani. Francesco apre gli occhi, e vedendo quelle mani piene di piaghe lancia un urlo e si alza. Il lebbroso spaventato si fa indietro per scappare.

Francesco

Fermati! In nome di Dio…fermati!

Francesco gli sorride e gli tende la mano. L’altro fa un passo indietro.

Francesco

Non mandarmi via…Ti prego.

L’altro è diffidente.

Lebbroso

Puzzo di morto!

Fa per andarsene. Francesco lo ferma prendendogli un braccio che l’altro ritira spaventato. Il lebbroso gli tende allora la mano incerto. Francesco la prende e la bacia. L’altro la ritrae ancora diffidente.

Lebbroso

Sei matto. O sei malato anche tu?

***

CORTILE DI SAN DAMIANO

I compagni di Francesco, ricordano i primi momenti dei suoi turbamenti.

Chiara

Quella sera fu la sesta volta che lo vidi…

Rufino

Andai a trovarlo a casa pochi giorni dopo… Non parlava, era come se gli fosse crollato il mondo addosso…

***

BARACCOPOLI

Francesco visita la morte di un neonato.

Matteo (bambino)

Il mio fratellino è morto!

Francesco lo tocca, è vero. La madre è come inebetita.

Madre

Non avevo più latte…

Chiara (raccontando di Francesco durante quell’evento)

Stette a contemplare quel bambino morto per due o tre ore. Si dimenticò di me e di tutto…

Rufino va a trovare Francesco che è ancora alla baraccopoli, nel tugurio con Irene, l’anziana inferma, e la mamma a cui è appena morto il suo piccolo. Francesco sente questi sofferenti come la sua nuova famiglia.

Francesco (ai presenti)

Questo è l’amico Rufino… (indicando poi i presenti a Rufino) Mia madre non può muoversi, ha le gambe malate. Mia sorella ha perduto un figlio: scusa se siamo silenziosi…

Rufino (ricordando quell’evento)

C’era un odore terribile che veniva dalla “madre”, e gli altri avevano addosso una miseria secolare… Provai una sensazione di panico come non avevo provato nemmeno in guerra. Scappai, velocissimo. Cercai di dimenticare e non riuscivo: «Sì» mi dicevo «Francesco è impazzito…».

***

Francesco si confronta con l’amico Pietro Cattani sull’utilità di visitare gli infermi, conoscere i poveri.

Francesco

Molti di loro sono santi…giuro!

Pietro Cattani

Cosa credi di risolvere per loro?

Francesco

Signor Cattani, confesso che non risolvo niente. I poveri vivono di miracoli e io imparo da loro.

***

ASSISI – FUORI LE MURA

Fuori le mura di Porta Nord c’è una forca per le esecuzioni, di norma a quell’epoca. È l’alba e un gruppo di curiosi un po’ morbosi è riunito intorno alle guardie che stanno accingendosi a impiccare un uomo (50 anni) magro e che non ha voglia di morire. Di lato i suoi parenti sono tutto un lamento. La vittima sta tentando di svincolarsi. Angelo è in disparte reggendo le redini del suo cavallo e guarda con scarso interesse, quando la sua attenzione è catturata da qualcuno che si fa strada tra la gente, raggiunge la vittima e gli si getta ai piedi come in adorazione. Le guardie tentano di tirarlo via e lui supplica.

Francesco

È figlio di Dio! Non uccidetelo!

Lo presero a calci, Francesco, e per poco non rischiò di essere impiccato anche lui rimanendo inascoltato.

***

Il desiderio di una famiglia tutta sua viene a far visita a Francesco. È inverno e c’è la neve. Francesco insieme ad Angelo e Bernardo stanno tagliando della legna sull’aia di una casa di contadini benestanti. Ci sono lì fuori i bambini del contadino, graziosi e vivaci, che stanno giocando alle palle di neve. Esce la loro madre: una giovane donna simpatica e sorridente. Scherza affettuosamente con i figli e poi se li porta in casa. Francesco per caso si è fermato a guardare la scena. A un tratto corre verso un mucchio di neve, si spoglia velocemente e si rotola nella neve tra lo stupore degli amici. Poi, prendendo la neve a piene mani, si mette a fare dei pupazzi.

Francesco (rivolgendosi ai presenti)

La più grande è mia moglie, i più piccoli sono i miei figli, due maschi e due femmine…

***

ASSISI – DUOMO

Francesco accorre a salvare dal pubblico ludibrio e dalla violenza degli astanti Rufino, messosi a predicare a fine messa per ordine dello stesso.

Francesco (rivolgendosi a Rufino)

Fratello perdonami…sono stato impetuoso.

La gente schiamazza ancora di più, tirando sassi contro i frati. Francesco corre a staccare una grande croce appesa al muro e si introduce d’impeto in mezzo alla gente con quella sulle spalle. Il gesto insolito ha fatto zittire i presenti, un filo di dignità li attraversa.

Francesco

Oggi è la festa di tutti i santi. E voi cacciate uno che vuole diventarlo… (indicando Rufino che aveva predicato nudo e che ora trema) Ma ci vuole molto coraggio…aiutateci…

Francesco incita le persone presenti in chiesa a non chiudersi al mondo degli indigenti, degli infermi, che sono più vicini di quanto si possa credere.

Francesco

Altri hanno questo coraggio. Parlo dei santi che ci sono qui ad Assisi… Ne ho conosciuti tanti. Parlo per loro perché ho osato essere dei loro… Do voce alla loro speranza. Alla loro semplice fede. Alla grande pazienza.

Chiuse gli occhi e dondolandosi un poco sulle gambe, tenendo per mano Leone e Rufino, avvia una dolce cantilena per gli infermi:

Beata Irene paralizzata e pacifica / Beato Matteo orfano pieno di speranza / Beata Eugenia lebbrosa che non maledice / Beato Bonizio ceco che vede il sole e le stelle… / Beato il piccolo Luca in cielo / Beata sua madre senza latte che ha fede…

***

Francesco assiste con Chiara una povera donna partoriente. Il bimbo nasce. Francesco è per terra con i bambini. In attesa di vedere il neonato si toglie la camicia e la passa a Chiara che ha un attimo di incertezza, perché l’amico a torso nudo avrà freddo, ma poi quella camicia riesce ad avvolgere molto bene il bambino. Francesco entra nella catapecchia dove è avvenuto il parto e guarda il neonato.

Francesco

È bello!

Puerpera (accorsa in aiuto)

Un altro disgraziato…

Francesco

È figlio del Re dei re.

Padre del neonato

Non dire cretinate.

Francesco

Perdonate il mio entusiasmo… ma è vero.

***

MONTAGNE – LA VERNA

Montagne suggestive e ricche di crepacci, torrenti e boschi. Francesco si è ritirato lì, anche per sfuggire ai confratelli che, oramai numerosissimi, gli chiedono una regola. Una regola come vogliono loro. Leone va in visita a Francesco, perché sa che sta soffrendo. Ed è molto malato. Non lo trova. Sta calando la sera. Eccolo, Francesco, attaccato alla roccia di una grotta, immobile come un sasso sta piangendo disperatamente e senza ritegno. Qualche giorno dopo Leone, che tentava di stare il più vicino possibile a Francesco per assisterlo, non lo trova più nella solita grotta. Francesco si è arrampicato su un ripido sentiero, davanti a lui c’è un’ampia vallata. Si ferma, e disperato urla.

Francesco

Parlamiiii! Parlamiiii!

Desiderava che Dio lo venisse a trovare. Stringe le mani in uno sforzo di energia e sale ancora, e grida ancora. Prosegue e inciampa. Lo trattiene un grosso arbusto. Resta fermo qualche attimo a guardare in basso, quasi tentato di lasciarsi andare. Francesco torna verso la grotta. Ha la barba lunga, la tosse, poche forze, un dolore lancinante agli occhi. Cade.

Francesco

Leoneeee! Leoneeee! Ho paura… non lasciarmi.

Leone

Sono qui.

Francesco (piangendo disperatamente)

Vedo tante facce… Cosa ho potuto fare per loro? Niente… niente.

Desidero stare solo (rivolgendosi a Leone) Ma se ti è necessario vieni da me, vieni.

***

CORTILE DI SAN DAMIANO

Francesco è morto. Gli amici sono a fargli visita. Sanno che in quegli ultimi giorni, il corpo di Francesco è diventato il corpo di Cristo. Tutti ne erano in qualche modo consapevoli, ma solo Chiara custodisce il segreto di quello che è successo alla Verna.

Rufino (a Chiara)

Cosa ti ha detto? Cos’hai pensato?

Chiara

Non disse niente… Lo medicai, lo fasciai senza chiedere nulla. Pensai… pensai che l’amore aveva reso il suo corpo identico al corpo dell’amato. Mi chiesi se sarei mai riuscita ad amare così tanto.



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