Da Pio XII a Papa Francesco, la forza del Rosario
Il XX secolo ha visto una particolare attenzione ai “grani della corona mariana” da parte del Ministero pietrino
di Antonio Tarallo
Papa Francesco è stato assai chiaro. Diciamo pure che questa volta non ha potuto certo dare modo all’opinione pubblica, dopo aver letto le sue parole/invito sul Santo Rosario, a “cadere” in svariate interpretazioni. Cosa che, da tempo, opinionisti (più o meno accreditati), giornalisti e fazioni della Chiesa (quanto ricorda quel “chi è di Febo, chi di Apollo”, delle lettere paoline!) si sono trovati a fare. Nei giorni scorsi, prima della sua partenza per i Paesi Baltici, il Santo Padre ha incontrato padre Fréderic Fornos S.I., direttore internazionale della Rete Mondiale di Preghiera per il Papa, chiedendogli di diffondere in tutto il mondo questo suo appello a tutti i fedeli, invitandoli a recitare il Rosario nel mese di ottobre (mese mariano, appunto, per la famosa preghiera a Maria) e a concluderlo con l’antica invocazione “Sub tuum praesídium”, e con l’invocazione a San Michele Arcangelo, come protezione e aiuto nella lotta contro il male.
La storia di questa antica preghiera, si è sempre intrecciata con la storia dei pontificati. In fondo, non poteva essere altrimenti. Il XX secolo ha visto, infatti, una particolare attenzione ai “grani della corona mariana” da parte del Ministero pietrino. Non si può non nominare – primo fra tutti – San Giovanni Paolo II. Nel motto, già era tutto scritto. Lo stesso pontificato era stato messo sotto la protezione della Vergine Maria. “Totus tuus”, più esplicito di così? Gli interventi del pontefice polacco su tale argomento, davvero, non possono essere enumerati. Cerchiamo di cogliere, allora, almeno una frase che possa essere “emblema” della sua particolare devozione alla recita del Rosario. La troviamo nella sua Lettera apostolica “Rosarium Virginis Mariae” (2002), che, in maniera lapalissiana, davvero è una dichiarazione di amore per la preghiera mariana, ma che – tiene a precisare il documento – non vuole dimenticare un “punto chiave”, presente e che – invece –molte volte sfugge:
“Se la ripetizione dell'Ave Maria si rivolge direttamente a Maria, con Lei e attraverso di Lei è in definitiva a Gesù che va l'atto di amore. La ripetizione si alimenta del desiderio di una conformazione sempre più piena a Cristo, vero 'programma' della vita cristiana”.
Andiamo a ritroso, col tempo. Paolo VI, inizia così la sua Esortazione Apostolica “Marialis cultus” (1974):
“Fin da quando fummo assunti alla Cattedra di Pietro, Ci siamo costantemente adoperati per dar incremento al culto mariano, non soltanto nell'intento di interpretare il sentire della Chiesa e il Nostro personale impulso, ma anche perché esso, come è noto, rientra quale parte nobilissima nel contesto di quel culto sacro, nel quale vengono a confluire il culmine della sapienza e il vertice della religione e che pertanto è compito primario del Popolo di Dio”.
E, la terza parte del documento, è dedicata – oltre alla preghiera dell’Angelus – proprio al Rosario. In questa sezione, Paolo VI, ne sottolinea la natura “evangelica” “in quanto dal Vangelo esso trae l'enunciato dei misteri e le principali formule; al Vangelo si ispira per suggerire, movendo dal gioioso saluto dell'Angelo e dal religioso assenso della Vergine, l'atteggiamento con cui il fedele deve recitarlo; e del Vangelo ripropone, nel susseguirsi armonioso delle Ave Maria, un mistero fondamentale – l'Incarnazione del Verbo – contemplato nel momento decisivo dell'annuncio fatto a Maria. Preghiera evangelica è, dunque, il Rosario, come oggi forse più che nel passato amano definirlo i pastori e gli studiosi”.
Giovanni XXIII e la sua Enciclica “Grata recordatio” (1959). E’ significativo che, in anni come quelli vissuti da papa Roncalli – anni difficili per l’assetto politico-sociale (che molto ricordano quelli che stiamo vivendo, per diversi aspetti – il pontefice romano inviti alla recita del Rosario “gli uomini responsabili dei destini delle grandi come delle piccole collettività”, affinché “abbiano a valutare attentamente il grave compito dell'ora presente”. Sembrano queste, parole scritte poco tempo fa. E, scorrendo questo testo, è facile percepire un “qualcosa di profetico”, anche per altri temi trattati, in relazione – sempre – alla preghiera mariana, per eccellenza. Questa, si legge nell’Enciclica, viene proposta come antidoto contro “gli aridi postulati di un pensiero cristallizzato e di un'azione penetrata di laicismo e di materialismo”, in modo che “si faccia tesoro di quella sana dottrina, che ogni giorno di più è convalidata dall'esperienza, e si cerchino gli opportuni rimedi. Ora questa dottrina conclama che Dio è autore della vita e delle sue leggi: che è vindice dei diritti e della dignità della persona umana; di conseguenza che Dio è nostra salvezza e redenzione!”. Niente di più attuale.
Nel pontificato di Pio XII, leggiamo – nell’Enciclica “Ingruentium malorum” (1951) – questa importante considerazione:
“Benché non ci sia un unico modo di pregare per conseguire aiuto, tuttavia noi stimiamo che il Santo Rosario sia il mezzo più conveniente ed efficace: come del resto chiaramente dimostrano sia l’origine stessa, più divina che umana, di questa pratica, sia la sua intima natura. (…) Non esitiamo ad affermare di nuovo pubblicamente che grande è la speranza che Noi riponiamo nel santo rosario per risanare i mali che affliggono i nostri tempi. Non con la forza, non con le armi, non con l’umana potenza, ma con l’aiuto divino ottenuto per mezzo di questa preghiera, forte come Davide con la sua fionda, la chiesa potrà affrontare impavida il nemico infernale”.
“Non con la forza, non con le armi, non con l’umana potenza…”, affermazione che – guardando al panorama che ci viene offerto dal nostro Tempo – acquista indubbiamente ancora più forza.
Antonio Tarallo
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