I Cappuccini di Bolzano ospitano nella loro chiesa la comunità ortodossa rumena
Quello che da qualche mese si sperimenta nella chiesa dei Cappuccini a Bolzano è un esempio di ecumenismo vissuto
Nella chiesa di Cappuccini a Bolzano, costruita nel 1600 sull’area dove prima sorgeva il Castel Wendelstein dei conti di Tirolo, si può fare esperienza di ecumenismo vissuto. Da Pasqua dello scorso anno, infatti, ospita la comunità ortodossa rumena. “Quando all’inizio dell’Avvento 2017 il vescovo Ivo Muser e il vicario generale Eugen Runggaldier hanno chiesto la nostra disponibilità – ricorda il padre guardiano p. Anton Beikircher – abbiamo subito accettato. Poi è arrivato anche il sì del provinciale di Innsbruck, p. Erich Geir, a cui la nostra comunità fa capo. Qualche mese più tardi, è arrivato in visita nel nostro convento anche l’allora superiore generale, p. Mauro Jöhri, che ha salutato con gioia questo modello di ecumenismo vissuto”. “P. Anton è il nostro angelo custode”, commenta il parroco ortodosso romeno don Lucian Milasan.
Bolzano, domenica 6 gennaio. Alle 8 del mattino, nella chiesa dei Cappuccini di Bolzano s. messa nella festa dell’Epifania. Terminata la celebrazione eucaristica, al centro del presbiterio in una manciata di minuti vengono montati i pannelli dell’iconostasi. Poco prima delle 9 iniziano ad arrivare le prime persone. Alcuni hanno affrontato un viaggio di oltre cento chilometri. Ma per loro, che per arrivare a lavorare in Italia di chilometri ne hanno macinati migliaia, questo non è poi un problema. Alcuni arrivano anche dall’Austria.
Sono partiti alle prime ore dell’alba per partecipare alla liturgia ortodossa rumena e pregare in quella lingua con cui hanno iniziato a comunicare con il mondo e che oggi, che la vita li ha portati ad essere nel mondo, riescono a riascoltare e parlare solo in chiesa. Alle 9 inizia la preghiera delle lodi, che precede la messa. Questa domenica la comunità celebra la festa del Battesimo del Signore, in occasione della quale avviene la benedizione dell’acqua. Sono 650 le bottigliette da mezzo litro d’acqua, poste su alcuni tavoli sistemati a forma di croce ai piedi del presbiterio, che attendono di essere benedette e distribuite tra i fedeli. Circa trecento persone, la maggior parte delle quali molto giovani. Tanti i bambini, alcuni molto piccoli, che seguono senza disturbare l’intera liturgia.
In chiesa c’è sempre movimento. C’è chi entra e chi esce. Alle invocazioni di don Milasan i fedeli si fanno ripetutamente il segno della croce, come è uso nella liturgia ortodossa, da destra verso sinistra e intonano a cappella i canti della liturgia. Cu pace Domnului să ne rugăm, preghiamo in pace al Signore. Un’invocazione che, nel canto, torna più e più volte, come una litania.
Alcuni bambini si avvicinano al candelabro, sistemato sulla sinistra dell’aula, per accendere una candela. I più piccoli si alzano sulle punte dei piedi, per andare a catturare una tremolante fiammella. Con la candela in mano si mettono ordinatamente in fila, per ricevere la comunione sotto le due specie. Ci sono anche neonati, portati in braccio da mamme o nonne. “Secondo il nostro rito – spiega don Milasan – con il battesimo, che viene amministrato quando il bambino ha circa un mese e mezzo, il piccolo riceve anche i sacramenti della comunione e della cresima. Ecco perché a fare la comunione sono anche i bambini di pochi mesi”.
La comunità altoatesina è molto giovane. “È composta soprattutto da donne che hanno trovato lavoro come badanti – spiega il parroco – ci sono poi giovani che fanno assistenza negli ospedali o che lavorano nelle fabbriche. Tanti sono i bambini. Molti di loro in questi giorni sono tornati in Romania per le festività”. Al termine della liturgia, mentre il parroco propone una riflessione ai fedeli riuniti in chiesa, i più piccoli si trasferiscono nell’ingresso del convento dei Cappuccini per seguire la catechesi guidata dalla moglie di don Milasan, Daniela. A seguire il catechismo c’è anche Cassiana, la prima dei due figli di don Lucian e Daniela, che ha 7 anni. Per il fratellino Andrei, di 18 mesi, c’è ancora tempo.
I Cappuccini hanno messo a disposizione della comunità ortodossa rumena anche metà del coro dove solitamente si riuniscono a pregare, e così, in questo spazio circondato da una tenda bordeaux, è stata ricavata la sagrestia della comunità, dove è possibile ammirare la galleria di icone utilizzate, nel corso dell’anno, nell’iconostasi.
Prima della fine della liturgia, don Milasan si avvicina al tavolo posto davanti ai banchi, sulla destra della chiesa. Sopra vi sono stati sistemati cibi fatti in casa, vino e succhi di frutta. Ci sono anche candele accese accompagnate con fogliettini sui quali, scritti a mano, ci sono una serie di nomi. “È il tavolo per i defunti – racconta il parroco ortodosso romeno – i fedeli offrono del cibo per pregare per i loro parenti defunti. Al termine della liturgia i cibi vengono benedetti e poi condivisi con l’intera comunità. Dall’altra parte della chiesa viene sistemato anche il tavolo per i vivi, dove vengono offerti alimenti per pregare per le persone malate o che si trovano in un periodo particolarmente difficile della loro vita. Anche in questo caso dopo la benedizione e la preghiera, il cibo viene condiviso dalla comunità”.
Al termine della liturgia, il parroco Milasan scende dal presbiterio per la benedizione dell’acqua. La liturgia dura un quarto d’ora, scandita dalla preghiera cantata che si fa dialogo e litania con l’assemblea. Con l’acqua benedetta per due volte don Milasan passa tra i fedeli per benedirli. Una benedizione che si fa personale, quando, finita la celebrazione, tutti, grandi e piccoli, si mettono ordinatamente in fila per baciare le icone poste ai piedi dell’altare, la croce che il parroco regge in mano e per essere benedetti da don Milasan con l’acqua. Prima di uscire nell’atrio della chiesa per condividere i cibi benedetti durante la messa, ciascuno prende una bottiglietta di acqua benedetta e una manciata di cubetti di pane benedetto sistemati in una grande ciotola. Per una settimana, al mattino e a digiuno, berranno un sorso d’acqua e mangeranno un pezzetto di pane, quale “prolungamento” della festa appena celebrata. (Irene Argentiero – Agensir)
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