I musulmani in preghiera nel salone parrocchiale
Quando la religione diventa terreno di dialogo e di convivenza.
In chiesa l’adorazione eucaristica, nel salone parrocchiale la preghiera dei musulmani. È la particolare convivenza interreligiosa che si vive ogni settimana nella parrocchia “Santa Maria Janua Coeli”, nel quartiere Montespaccato di Roma, zona nord ovest della capitale. Una situazione che va avanti da quattro anni, cioè da quando è venuto meno lo spazio in uso alla numerosa comunità islamica che si è quindi ritrovata senza un luogo per raccogliersi in preghiera. È stato allora che l’imam della zona si è rivolto al parroco p. Antonio Sconamila e già questo è indicativo dei buoni rapporti che intercorrono tra i due rappresentanti religiosi.
In effetti il confronto tra cattolici e musulmani è iniziato anni fa, dopo gli attentati terroristici a Parigi e Berlino, con la necessità di conoscersi meglio, di guardarsi negli occhi, di comprendere le rispettive identità religiose. Fu così organizzato il primo incontro nella piazza antistante la chiesa, cui ne seguirono altri, per riflettere e pregare, ognuno secondo la propria fede. Un passaggio determinante per aprire la strada al dialogo. Tornando a quella richiesta, il parroco ascoltò il “fratello imam” e pensò di poter far fronte a quelle esigenze mettendo a disposizione la sala parrocchiale. “Un gesto totalmente gratuito da parte nostra - spiega p. Antonio - al quale la comunità musulmana risponde con offerte o donando generi alimentari da destinare ai poveri del quartiere”. Così il grande salone, che si trova proprio nel corpo del fabbricato parrocchiale, si è trasformato davvero in uno spazio polivalente: luogo per i catecumeni ma anche spazio di ritrovo per i 158 islamici che partecipano regolarmente alla preghiera. Ogni settimana il pavimento viene ricoperto da una distesa di tappeti e ad uno ad uno entrano i musulmani del quartiere, dopo essersi scalzati e aver fatto le abluzioni prescritte dal Corano. “C’è un aspetto molto bello - sottolinea p. Antonio - ovvero che ogni volta pregano per me, per la comunità e per la Chiesa cattolica che li sta accogliendo. Un gesto altamente significativo, un ponte di convivenza e di dialogo”.
Ma c’è un altro elemento particolare che il parroco rimarca, mostrando la grande sala, ovvero che non si tratta di uno spazio neutro ma popolato da numerosi simboli cristiani: il crocifisso, un ambone con immagini sacre, i quadri a tematiche cristiane alle pareti. Niente è spostato o coperto durante la preghiera, segno evidente di un rispetto che sa conciliare la propria identità religiosa con quel senso di ospitalità. Questo cammino di apertura al “diverso” prese avvio consultando i superiori, nella consapevolezza che si trattava di una scelta che poteva non trovare tutti d’accordo. E infatti qualche mugugno sembra alzarsi ancora ma non così forte da far desistere p. Antonio dalla sua quotidiana “costruzione di ponti”. Anzi, la firma del Documento sulla fratellanza ad Abu Dhabi, da parte di papa Francesco e del Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb, così come le ripetute sollecitazioni al dialogo del Santo Padre, hanno aperto ancor più la strada ad una convinzione: non si può convivere senza dialogare, accettarsi e rispettarsi. Uno stile che il parroco adotta anche con le altre presenze straniere del territorio, facendo di “Santa Maria Janua Coeli” un luogo di condivisione. Ma quale può essere il terreno di incontro per dialogare, per convivere serenamente, senza pregiudizi, in una accettazione che sia di piena reciprocità e libertà? Ovviamente non solo in Italia ma anche nelle realtà a prevalente presenza islamica dove, spesso, i cristiani faticano a professare la propria fede. Sappiamo che è proprio questo uno dei principali ostacoli alla convivenza. “Credo che il punto di partenza sia quello di dialogare e confrontarci sulla vita di tutti i giorni - risponde p. Antonio - io lo faccio spesso con loro, ad esempio parlando delle problematiche legate al mondo giovanile. Naturalmente è necessario che i passi per un avvicinamento avvengano da entrambe le parti, altrimenti si rischia di andare poco lontano”.
Un’esperienza, quella di Montespaccato, che p. Antonio non manca di portare all’attenzione di altri sacerdoti, auspicando che questo laboratorio di dialogo - in una realtà multietnica - possa diventare esempio e stimolo per tante altre zone di Roma ma non solo. Con la convinzione che il dialogo è un elemento imprescindibile per ogni convivenza che non si voglia basare sulla paura ma sulla fiducia, non sul respingimento del diverso bensì sull’accoglienza come arricchimento. Tenendo anche in considerazione un altro aspetto sociale: “Molti membri della comunità islamica vivono qui da anni e anni, alcuni da oltre quaranta. I loro figli vanno a scuola con i nostri bambini e ragazzi. Questo deve impedire ogni forma di emarginazione sociale ma, piuttosto, spingere a una integrazione necessaria per il bene di tutti”. Cosa risponde a chi non è del suo parere? “Ai credenti sicuramente di provare a mettersi nei panni di Gesù Cristo. Lui come accoglierebbe questi fratelli?”.
di Elisabetta Lo Iacono, San Bonaventura Informa
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