Il Papa: pregare con “invadenza” e costanza, come se fosse un lavoro
Invadenti, determinati, senza vergogna: così i cristiani devono pregare Dio, con la costanza di chi sta svolgendo «un lavoro» e nella consapevolezza che la preghiera «non è una bacchetta magica» che appena si chiede si ottiene. Nella messa a Santa Marta di oggi Papa Francesco riparte dalle basi e insegna ai fedeli in che modo e con quale atteggiamento rivolgersi al Signore. È il brano del Vangelo odierno lo spunto per la riflessione del Pontefice - riportata da Vatican News -, quello in cui si racconta di un uomo che bussa a mezzanotte alla casa di un suo amico per chiedergli qualcosa da mangiare. E l’amico, un po’ seccato, risponde che non è il momento opportuno, che era già a letto e via dicendo; poi, però, vista l’insistenza dell’altro, si alza e gli dà quello che chiede.
Ecco, proprio questa «invadenza», intesa come insistenza e atteggiamento di fiducia nella persona che si interpella, è ciò che serve nella preghiera. «Si prega con coraggio, perché quando preghiamo abbiamo un bisogno, normalmente, un bisogno», afferma Papa Francesco. «Un amico è Dio: è un amico ricco che ha del pane, ha quello del quale noi abbiamo bisogno. Come se Gesù dicesse: “Nella preghiera siate invadenti. Non stancatevi”. Ma non stancatevi di che? Di chiedere. “Chiedete e vi sarà dato”».
Non bisogna dimenticare però che «la preghiera non è come una bacchetta magica», che dà tutto ciò che si chiede. E tantomeno, chiarisce Bergoglio, si tratta di dire due “Padre Nostro” e andarsene: «La preghiera è un lavoro», afferma, «un lavoro che ci chiede volontà, ci chiede costanza, ci chiede di essere determinati, senza vergogna. Perché? Perché io sto bussando alla porta del mio amico. Dio è amico, e con un amico io posso fare questo. Una preghiera costante, invadente».
Un esempio, in tal senso, è Santa Monica la madre di Sant’Agostino: «Quanti anni ha pregato così, anche con le lacrime, per la conversione del suo figlio. Il Signore alla fine ha aperto la porta», dice Francesco.
Che richiama anche un aneddoto personale dei tempi di Buenos Aires che avvalora le sue parole: «Un uomo, un operaio, aveva una figlia in fin di vita, i medici non avevano dato alcuna speranza e lui ha percorso 70 chilometri per andare fino al Santuario della Madonna di Luján. È arrivato che era notte e il Santuario chiuso, ma lui ha pregato fuori tutta la notte implorando la Madonna: “Io voglio mia figlia, io voglio mia figlia. Tu puoi darmela”. E quando la mattina dopo è tornato all’ospedale ha trovato la moglie che gli ha detto: “Sai, i medici l’hanno portata per fare un altro esame, non si spiegano perché si è svegliata e ha chiesto da mangiare, e non c’è nulla, sta bene, è fuori pericolo”. Quell’uomo, sapeva come si prega».
Il Papa fa l’esempio anche dei «bambini capricciosi» che, quando vogliono qualcosa, gridano e piangono: «Io voglio! Io voglio!», e alla fine i genitori cedono. «Qualcuno però può domandarsi: ma Dio non si arrabbierà se faccio così? È Gesù stesso che prevedendo questo ci ha detto: “Se voi che siete cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono”».
Dio, conclude il Pontefice, «è un amico: dà sempre il bene. Dà di più: io ti chiedo di risolvere questo problema e lui lo risolve e anche ti dà lo Spirito Santo. Di più. Pensiamo un po’: come prego? Come un pappagallo? Prego proprio con il bisogno nel cuore? Lotto con Dio nella preghiera perché mi dia quello di cui ho bisogno se è giusto? Impariamo - è la sua esortazione finale - da questo passo del Vangelo come pregare».
Salvatore Cernuzio, Vatican Insider
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