Il problema “umano” dell’Ambiente: Papa Montini e i poveri delle periferie
di Antonio Tarallo
Giovanni Battista Montini. Papa Paolo VI, ormai San Paolo VI. Ottobre è assai vicino, quindi si può già scrivere l’appellativo di Santo. Montini ha, fin dall’infanzia, un rapporto stretto con la terra. Forse, chissà, proprio questa vicinanza con l’humus bergamasco lo porrà sempre davanti a svariate questioni, problematiche, temi del suo pontificato, in quella umiltà che conosciamo. La terra bergamasca, la campagna lombarda, il senso “genuino” delle cose. Sì, certamente, proviene da famiglia “intellettuale” (ricordiamo il padre giornalista-parlamentare), ma questo non gli impedisce di avere fin da subito un rapporto stretto con la Natura, con “l’antico e sacro mestiere” – così lo definirà – dell’agricoltura. Nel cuore, sempre, quei contadini, “abitatori della campagna e conoscitori del suolo, del clima, delle stagioni e del cielo” e, come tali ammantati di spiritualità forse poco intellettuale ed anche di maniera, ma quanto vera e sincera, schietta. Avrà nel cuore, sempre, insomma, “i generosi, modesti, energici contadini della campagna lombarda, gente sobria e concreta”.
Bisogna considerare un altro rilevante dato. Montini vivrà l’esperienza del suo Vescovado meneghino con grande impegno, soprattutto nel guardare alla nuova società nascente. A una società che vedeva sempre più in espansione l’edificazione di nuovi edifici. Un senso urbanistico nuovo. Milano era stata davvero, negli anni ’60, l’espressione più rilevante del boom economico che l’Italia stava vivendo. Perché sottolineare questo dato? Assai semplice: una nuova concezione dello spazio (nel senso generale del termine) non poteva – come oggi stesso, tra l’altro – avere una certa ripercussione sull’Ambiente. Un documento “principe” che condensa queste riflessioni, che presenta tali tipologie di domande, è la “Octogesima adveniens” del 1971.
Leggiamo al punto 8, la seguente questione:
“Un fenomeno di grande importanza attira la nostra attenzione, sia nei paesi industrializzati sia nelle nazioni in via di sviluppo: l'urbanesimo. Dopo lunghi secoli, la civiltà agricola va declinando. Ma si dedica sufficiente attenzione al buon ordinamento e al miglioramento della vita dei rurali, la cui condizione economica di inferiorità e talvolta di miseria provoca l'esodo verso i tristi ammassamenti delle periferie, dove non troveranno né impiego né alloggio?”.
E’ sorprendente come siano così lungimiranti, così attuali, queste parole. Il punto sopraindicato pone una questione che – nella sua “superficie” – potrebbe sembrare poco legata a quello che successivamente, al punto 21, abbiamo modo di leggere. Ma, in realtà, crea un “ponte” vero e proprio.
Leggiamo dalla “Octogesima adveniens”, al punto 21:
“Mentre l'orizzonte dell'uomo si modifica, in tale modo, tramite le immagini che sono scelte per lui, un'altra trasformazione si avverte, conseguenza tanto drammatica quanto inattesa dell'attività umana. L'uomo ne prende coscienza bruscamente: attraverso uno sfruttamento sconsiderato della natura, egli rischia di distruggerla e di essere a sua volta vittima di siffatta degradazione. Non soltanto l'ambiente materiale diventa una minaccia permanente: inquinamenti e rifiuti, nuove malattie, potere distruttivo totale; ma è il contesto umano, che l'uomo non padroneggia più, creandosi così per il domani un ambiente che potrà essergli intollerabile: problema sociale di vaste dimensioni che riguarda l'intera famiglia umana. A queste nuove prospettive il cristiano deve dedicare la sua attenzione, per assumere, insieme con gli altri uomini, la responsabilità di un destino diventato ormai comune”.
Si pone l’accento, con grande “determinazione”, sulla “distruzione della natura” e su come questa distruzione – alla fine – possa far divenire l’Uomo stesso “vittima di siffatta degradazione”. Certo che – nel mondo contemporaneo che stiamo vivendo – un’analisi del genere (bisogna ricordare che siamo solo nel 1971), ha tutta l’aria di avere carattere profetico. Ma, spero sia permesso – almeno per un attimo – “uscir fuori dal binario”, diciamo così. Se dovessimo solamente sottolineare questo carattere, potremmo venir meno a una delle peculiarità del documento e, forse, dell’intero Magistero di Paolo VI: l’analisi della realtà da parte di Montini, non era solamente dettata da una visione “cattolica”, da una visione chiusa in un range per “soli cristiani”. La prova è evidente se rileggiamo con attenzione le sue parole. Doveroso, il riscriverle: “Non soltanto l'ambiente materiale diventa una minaccia permanente: inquinamenti e rifiuti, nuove malattie, potere distruttivo totale; ma è il contesto umano, che l'uomo non padroneggia più, creandosi così per il domani un ambiente che potrà essergli intollerabile: problema sociale di vaste dimensioni che riguarda l'intera famiglia umana”. In questo caso sembra davvero che a parlare non sia tanto il successore di Pietro. Sì, uso un’immagine forte, lo so. Ma credo possa rendere bene l’idea. Le parole usate, i termini scelti, sembrano appartenere a un contesto di ricerca che potrebbe avvicinarsi a coloro che oggi sono chiamati – per esemplificare – “studiosi dell’Ambiente”. Una Enciclica così “scientifica”, possiamo benissimo dirlo, ha avuto il privilegio di porre l’attenzione sulla problematica ambientale, su un piano “fruibile” a tutti. Cattolici e no.
Un anno dopo la pubblicazione del Documento di Paolo VI, nella Dichiarazione delle Nazioni Unite alla Conferenza di Stoccolma del 1972, possiamo leggere:
“L'uomo deve costantemente fare il punto della sua esperienza e continuare a scoprire, inventare, creare e progredire. Al presente, la capacità dell'uomo di trasformare il suo ambiente, se adoperata con discernimento, può apportare a tutti i popoli i benefici dello sviluppo e la possibilità di migliorare la qualità della vita. Applicato erroneamente o avventatamente, lo stesso potere può provocare un danno incalcolabile agli esseri umani ed all'ambiente. Vediamo intorno a noi con crescente evidenza i danni causati dall'uomo in molte regioni della terra: pericolosi livelli d'inquinamento delle acque, dell'aria, della terra e degli esseri viventi; notevoli ed indesiderabili perturbazioni dell'equilibrio ecologico della biosfera; distruzione ed esaurimento di risorse insostituibili e gravi carenze dannose alla salute fisica, mentale e sociale dell'uomo nell'ambiente da lui creato e in particolare nel suo ambiente di vita e di lavoro”.
Il titolo della conferenza era “Sull'Ambiente Umano”. Umano, quel termine tanto caro a Montini durante tutto il suo Pontificato.
Antonio Tarallo
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