IL RACCONTO. Quando il Crocifisso di San Damiano continua a parlarci
di Antonio Tarallo
Eppure voleva ritornare in quel luogo. Lo aveva scoperto un anno fa, dopo l’ “Eurochocolate”, a Perugia. Aveva 17 anni, Matteo, e non ne sapeva nulla di lodi e vespri, di rosari e altro. Lui amava invece solo Loredana, la sua fidanzata. E i fumetti. E anche gli “Oasis”, il gruppo musicale inglese che tanto ricorda i Beatles. A un anno di distanza dalla sua prima volta in Assisi, quella mattina si alzò presto. La stazione, il binario. Il primo treno per “la città della pace”, per la città di San Francesco. Matteo, volle andare solo in quella pianura che – quasi per incanto – poi si apre al cielo, grazie al suo promontorio.
Una rocca arroccata, il Sacro Convento. La “seconda San Pietro”, così aveva sentito più volte, quando all’ora di religione a scuola, il suo professore gli aveva parlato del Poverello di Assisi. Matteo, oltre ai fumetti, aveva una passione spasmodica (in fondo tutte le passioni sono spasmodiche o non lo sono) per internet e i vari percorsi cyber. Questa volta, invece, nessun percorso cibernetico d’affrontare. Solamente il tracciato del “passo dopo passo”, albero dopo albero, e di ulivo, s’intende. Arrivato nella piccola stazione, non volle prendere il bus per Assisi. Ma volle camminare, tra la pianura di Santa Maria degli Angeli, tra case diroccate e altre, ben guarnite di ogni bene. Queste, quasi tutte adibite a “Bed and Breakfast” per accogliere le fiumane di turisti, e pellegrini, tutti confusi insieme. Provenivano da ogni parte del mondo, tutti lì, per la festa del Santo.
Matteo decise di andare in una chiesa che nel precedente viaggio non era riuscito a visitare con calma, era quella di Santa Chiara. Un anno fa si era imbattuto nella enorme Basilica: la professoressa di Storia dell’Arte voleva un racconto, per forza (e lui lo scrisse di malavoglia), sugli affreschi giotteschi. La chiesa di Santa Chiara l’aveva tralasciata, ovviamente. Ora si trovava, invece, proprio nella grande piazza antistante l’entrata alla chiesa dedicata alla “sorella” di Francesco, Chiara. Stranamente, erano presenti pochi turisti e/o pellegrini. Non riusciva certo a distinguere la differenza. Una volta entrato, incominciò a inviare delle foto a Loredana, tramite whatsapp. Ma, una suora clarissa, interruppe subito il flusso di foto. Ci rimase un po’ male, il ragazzo, ma comprese che forse tenere il cellulare in mano, lì, in quel contesto, era davvero “fuori luogo”. Lo incuriosì un gruppo di persone, guidato da un frate che – in silenzio, se non interrotto da qualche breve descrizione in tedesco – aveva, da poco, voltato l’angolo a destra dell’entrata della voluminosa chiesa. Il ragazzo, lì seguì. Un crocifisso, “il Crocifisso”, sospeso in aria, sembrava che guardasse tutti, e tutti a ricambiare lo sguardo. Solo lui, invece, era incuriosito di più dal gruppo che aveva seguito, che dal “sacro legno”. Ma, Matteo, non si trovava lì, per caso. No. La sua giornata doveva avere un senso diverso, quel giorno. Un senso, che sarebbe divenuto quello della sua stessa vita.
Vide i ragazzi del gruppo, abbracciarsi. E la cosa che più lo aveva stordito era il fatto che nessuno dei presenti immortalava quel momento con selfie e “roba” varia “internettiana”. Si guardavano in faccia, assaporando, l’uno con l’altro, ciò che quel momento stava donando ad ognuno di loro. Era come se si fossero ritrovati catapultati in unico ampio respiro, seppur composto da diverse sfumature di fiati. Un po’ come avviene in un’orchestra. Matteo ascoltava un “do” uscito da quella ragazza, alta, bruna, con lo zaino in spalla. E poi c’era quel “mi” del ragazzo biondo, vicino. E, poi ancora, due-tre “sol”, tutti legati, fuoriusciti da un'altra ragazza che – nel frattempo – si era stretta al suo fidanzato. Aveva percepito che c’è una bellezza nascosta nello stare assieme, nell’essere comunità. E questo, forse, non lo aveva mai – fino adesso – valutato, né tanto meno sentito.
Ma in questo suo perdersi in loro, come zampillo di fontana, un piccolo ricordo – la voce di questo era fievole, gracile, venendo da assai lontano – bagnò, conquistò, la sua memoria. Ed era collegato a quando, da bambino, aveva trascorso le vacanze assieme ai suoi genitori, in Trentino, fra i boschi, fra le montagne. Quello stesso sentimento, provato adesso, lo aveva vissuto – i sentimenti si vivono – un giorno in cui, non trovando più la strada per il rifugio, si era perso tra rocce e alberi, tra il verde e il grigio, come in un quadro paesaggistico del Seicento. Uffa! Ma a lui non interessava la storia dell’Arte! Beh, però rende bene l’idea…
Dunque, si era arrivati, al Matteo bambino che non era in grado di ritornare al rifugio. Dentro quella cappellina in Santa Chiara, il Matteo adolescente, aveva rivissuto quel momento. Il respiro dei ragazzi del gruppo, assomigliava tanto a quello che – diversi anni prima – aveva percepito, nel suo animo, ascoltando le varie voci della Natura. Anche in quel caso, era come si fosse trovato davanti a una grande orchestra, di suoni silenziosi e voci cadenti, di suadenti immagini e colori. Camminando, aveva seguito, il correre del fiume. E percorrendo il suo tragitto, si era estraniato da tutto il mondo. E ricordava bene come il suo procedere/perdersi non scaturiva paura, bensì tranquillità. Un grembo in cui giacere, riposare, ancora più vasto, di quello della madre.
E fu in quell’istante che gli venne in mente la notizia di una colata di cemento proprio in quei luoghi, appresa giorni prima grazie una notifica sulla home di facebook. E non si trattava purtroppo di una fake news. Se inizialmente gli aveva dato solo un certo fastidio e niente più, ora, ricordando quell’idilio di fanciullezza, il ripensare a quella notizia, gli aveva provocato un forte senso di sgomento, prima. Di ribellione, poi.
Fu così che abbandonò, di corsa, la cappellina. Si fece spazio fra la gente, e uscì. Varcata la soglia della chiesa, sentì addosso un impeto inconsueto, nuovo. Anche se l’animo era certamente scosso, come sottofondo gli rimaneva – scritto ormai nel bloc-notes del suo “io” – il sereno abbraccio di comunione da poco vissuto.
Riaccese il cellulare. Trovò una serie di messaggi vocali su whatsapp, erano tutti di Loredana, la fidanzata. Erano passate ben tre ore, da quando era entrato. Era stato un tempo sospeso, e non se n’era accorto. “Loredana! Loredana! Sto ritornando…ti devo raccontare non sai quante cose…”. E lei, subito, rispose: “Ma non mi hai mandato nessuna foto…”. E Matteo, con impazienza ed emozione: “No, Loredana…sarà più bello raccontartelo, guardandoti negli occhi, abbracciandoti. Vivendo con te questa emozione. Noi, assieme”.
Altri occhi, intanto, bonariamente sorridevano. Erano quelli del Crocifisso di San Damiano, “il Crocifisso” della cappella in Santa Chiara. Un fatto inconsueto, certo. Tanto inconsueto da spingere il gruppo di pellegrini a fotografare l’avvenimento. Poco dopo instagram, whatsapp, facebook, accoglievano tutti la grande notizia. Una “fake news”? Una “true news”? I social cominciarono a discorrere su di essa. Ma questo, poco importa. Quello che sappiamo è che la vita di Matteo, da quel giorno, non fu la stessa.
Il Crocifisso di San Damiano, ancora ci parla, ancora ci ascolta, ancora ci sprona a “riparare” qualcosa dentro, o fuori di noi.
Antonio Tarallo
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