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Le edicole votive, una breve storia

Bisogna iniziare da lontano, per comprendere tale fenomeno

di Antonio Tarallo
Credit Foto - ANSA

E l’estate ancora non è finita. Ancora il sole sul Belpaese, turisti che popolano piazzette e borghi, cittadine e metropoli italiane. Ecco una famiglia inglese, con zaino in spalla, cercare – tra le viuzze e i palazzi – il monumento a Tizio, il palazzo di Sempronio. I nomi citati, volutamente a carattere generale, per non rischiare di far torto a nessun personaggio storico o, rischiare, di dimenticarsi qualche città.

Fra queste bellezze monumentali, fra posti dove la Natura ha dimostrato tutta la sua potenza creatrice, fra opere d’arte d’inestimabile valore, possiamo imbatterci in piccole “opere d’arte” che alcune volte possono passare inosservate, altre, invece, richiamano l’attenzione del turista o della stessa popolazione autoctona.  Parliamo delle “edicole votive”.

Bisogna iniziare da lontano, per comprendere tale fenomeno. Bisogna andare in Grecia e poi passare all’Impero romano, per avere un’idea di come siano nate tali strutture architettoniche che condensano, appunto, architettura, scultura, pittura e devozione. L’edicola (dal latino aedicula, da aedes, tempio) affonda le sue radici in età ellenistica.Nell’antichità, le sorgenti, i crocevia e i luoghi in cui era avvenuto un evento prodigioso erano considerati luoghi sacri ed erano segnati da questi piccoli tempietti. Un uso, dei greci prima e dei romani poi, che si è tenuto in vita così a lungo da vedere l’iconografia cristiana sostituirsi agli idola pagani.

Con il cristianesimo, le edicole, hanno visto una nuova vita. E, potremmo dire, ancora più prolifica, se guardiamo alla loro presenza in ogni piccolo paese della penisola italiana. Le edicole votive formano un vero e proprio “reticolato religioso”, una sorta di “segnaletica”, potremmo dire.  Il ruolo principale di questi “piccoli tempi” era di proteggere il luogo, su cui erano edificati come le porte di accesso di una città, una casa, un latifondo agricolo. Avevano spesso la funzione di rassicurare il viandante lungo il suo cammino.  Nei “nodi cruciali”, sono loro, le edicole, a essere presenti nella loro semplice bellezza: gli incroci, i punti di sosta, le sorgenti diventavano così occasione per la preghiera. Le edicole votive rappresentavano una vera e propria segnaletica. Venivano impiegate ad esempio per segnare i limiti di un latifondo agricolo, per delimitare le tappe di una processione o per delineare il percorso verso un santuario. Quasi sempre queste costruzioni nascono come opere dei privati, e spesso sono state edificate per adempiere ad un “voto”.  Questo connubio tra devozione popolare ed architettura, ha visto, nel corso dei secoli, una indefinita quantità di edicole inserite nei più svariati contesti: da quello urbano a quello della campagna, della montagna. Hanno segnato, e segnano tuttora, il paesaggio della nostra Penisola.

Prendere in esame, seppur in maniera generale, tutte queste avrebbe bisogno di un libro a parte.  E allora ci soffermiamo solo su due città che, per tradizione popolare, hanno visto una devozione particolare a santi e figure sacre: Napoli e Roma.

Non poteva mancare, lei, Maria, fra le maggiori “fonti d’ispirazione” per le edicole. A Roma, la Città Santa, se ne contano circa 500 (per la maggior parte distribuite nel centro storico), seppur  – in un censimento del XIX secolo – se ne contavano a migliaia. Queste edicole prendono il nome di “madonelle”, questo il tipico appellativo attribuito a tale immagini sacre. Nella Storia della Roma settecentesca, le “madonelle” furono al centro di un inspiegabile fenomeno.

Come si suol dire… “correva l’anno 1796”, da tempo lo Stato Pontificio era in stato di allerta, per via dell’imminente invasione francese, ad opera, di Napoleone Bonaparte. Narra la leggenda, che a partire dal 9 luglio, per circa tre settimane, le “madonelle” cominciarono a muovere gl’occhi, sotto l’attenzione del popolo che prese questo evento, come premonitore della vicina invasione. Si avviarono, allora, alcune indagini ufficiali da parte delle autorità religiose dell’epoca, ma questi “approfondimenti del caso” furono poi sospesi dopo l’invasione francese. Insomma, le “madonelle”, non sbagliarono.

Napoli, città millenaria. Città, densa di devozione e Fede, di canti religiosi e popolari, dove il folclore si intreccia amabilmente con la teologia. Una città ricca di bellezza, storia, paesaggi e…  di edicole votive. In fondo, visto l’origine greca di queste, Neapolis non poteva non averle in eredità. Sono circa duemila, nella città partenopea. Parliamo, in questo caso, di numeri davvero impressionanti. Il Settecento napoletano vide la loro espansione in tutta la città. Dobbiamo al famoso Padre Gregorio Rocco, domenicano, tale incredibile “mappa devozionale”. Ma fu anche una vera e propria rivoluzione urbana. Si deve a questo padre domenicano la prima illuminazione delle strade di Napoli. Storia curiosa e particolare. Dopo un primo tentativo del Governo Borbonico,   di far mettere delle lanterne ad olio sulle finestre, che venivano prontamente rubate, a padre Gregorio venne una idea che risultò vincente. Sotto l’approvazione del suo amico Carlo III, Re di Borbone, consegnò ai fedeli più devoti, delle immagini sacre, imponendo di appenderle fuori delle case ed accendervi, per devozione, uno o più lumi ogni sera. La devozione religiosa impedì ai malfattori di perpetuare il crimine del furto, e fu così che Napoli ebbe  – prima dell’istituzione dei lampioni ad olio – la sua illuminazione urbana. In una battuta, “la luce” della Santità, aveva sortito doppio effetto:  la conversione – in una certa misura – dei ladri, e la prima illuminazione delle strade di Napoli.



Antonio Tarallo

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