L’origine della tradizione del pane di Sant’Antonio
di Antonio Tarallo
Papa Pio XI amava esclamare: “Il mondo è pieno dei miracoli che si ottengono per intercessione di S. Antonio”. E anche per la tradizionale distribuzione del cosiddetto “Pane di Sant’Antonio”, tutto ebbe inizio proprio con un miracolo che vide protagonista un bambino, il piccolo Tommasino, un fanciullo di venti mesi che visse a Padova nel tempo in cui si stava costruendo la basilica dedicata al santo.
Il racconto del miracolo di Tommasino
Ma lasciamo raccontare questo episodio, dalle vive parole della leggenda cosiddetta Rigaldina, scritta verso la fine del secolo XIII dal minorita Jean de Rigaud o de Rigault, che narra le vicende legate al santo di Padova:
“Un bimbo di venti mesi, di nome Tomasino, i cui genitori avevano l’abitazione vicino alla chiesa del beato Antonio, in Padova, fu lasciato incautamente da sua madre accanto ad un recipiente pieno d’acqua. Si mise a fare nell’acqua giochi infantili e forse, vedendoci riflessa la sua immagine e volendo inseguirla, precipitò nel recipiente testa all’ingiù e piedi in alto. Siccome era piccino e non poteva sbrogliarsi, ben presto vi rimase affogato. Trascorso breve tempo, la madre ebbe sbrigate le sue faccende, e vedendo la lontano i piedi del bimbo emergere da quel recipiente, si precipitò urlando forte con voce di pianto e trasse fuori il piccino. Lo trovò tutto rigido e freddo, perché era morto annegato. A tale spettacolo gemendo di angoscia, mise sossopra tutto il vicinato con i suoi lamenti ad alta voce. Molte persone accorsero sul posto, e tra queste alcuni frati minori insieme con operai, che a quel tempo lavoravano a certe riparazioni nella chiesa del beato Antonio. Quando ebbero veduto che il bambino era sicuramente morto, partecipando alla sofferenza e alle lacrime della madre, essi si ritirarono come feriti dalla spada del dispiacere. La madre tuttavia sebbene l’angoscia le straziasse il cuore, prese a riflettere sugli stupendi miracoli del beato Antonio, e ne invocò l’aiuto onde facesse rivivere il figlio morto. Aggiunse anche un voto: che darebbe ai poveri la quantità di grano corrispondente al peso del bimbo, se il beato Antonio lo avesse risuscitato. Dal tramonto fino alla mezzanotte il piccolo giacque morto, la madre continuando senza sosta ad invocare il soccorso del beato Antonio e replicando assiduamente il voto, allorché, - cosa mirabile a dirsi! – il bimbo morto riebbe vita e piena salute”.
Il testo della leggenda, non poteva che essere riportato integralmente. Troppo affascinante, troppo colmo di devozione per il santo, e di informazioni “curiose”, per farne un riassunto. Grazie a queste parole della “Leggenda Rigaldina” – che assieme a “Vita prima” o “Assidua”, opera di un anonimo francescano del 1232, scritta in concomitanza con la canonizzazione di Antonio – riusciamo a intravedere uno spaccato della vita del santo che rimane – bisogna dirlo – a distanza di secoli, ancora “originale”, visto che la figura di Antonio di Padova, seppur venerata da milioni di fedeli, non è ancora del tutto nota, nei particolari. Sicuramente la devozione popolare attinge all’iconografia tradizionale del santo, ma è interessante – non poco – cercare di comprendere “cosa”, quali fatti, hanno prodotto tale immaginario. “Antonio e il pane” è proprio uno di questi.
La tradizione della distribuzione del pane, nel giorno della festa
Ogni 13 giugno, infatti, sia nel Santuario di Padova che vede coinvolti migliaia di fedeli partecipanti alle celebrazioni che si susseguono in ogni orario, sia in ogni chiesa che reca il nome del santo portoghese, viene distribuito il famoso “pane di Sant’Antonio”. La tradizione di questa usanza, come abbiamo visto, ha origine da uno dei tanti miracoli di Sant’Antonio, che vede protagonisti il piccolo Tommasino e sua madre. Da questo episodio, prende vita il “pondus pueri”, una preghiera con la quale i genitori in cambio di protezione per i propri figli, promettevano a sant’Antonio tanto pane quanto fosse il loro peso.
Antonio Tarallo
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