Mons. Tuzia : 'Il Papa ci esorta a innalzare la nostra temperatura spirituale'
di Redazione onlineIn quest'anno della fede, felice coincidenza, l'Umbria è chiamata da un lato a rappresentare ad Assisi l'intera nazione italiana per le celebrazioni in onore di san Francesco Patrono d'Italia con l'offerta dell'olio per l'accensione della lampada votiva, e dall'altro a prendere parte attiva al Giubileo Eucaristico Straordinario donato dal Santo Padre Benedetto XVI alla Chiesa di Orvieto-Todi per il 750° del Miracolo di Bolsena e il 750° della Bolla Transiturus con la quale Papa Urbano IV nel 1264, dimorante in Orvieto, istituì la Festa del Corpus Domini per tutta la Chiesa universale.
Nell'Anno della fede – ha detto Mons. Tuzia – il Papa ci esorta a innalzare la nostra temperatura spirituale riscoprendo l'entusiasmo contagioso di credere. E quale migliore occasione di questo Giubileo che è prima di tutto un invito a mettere al centro l'Eucaristia, fonte e culmine della vita cristiana.
Il prodigio di Bolsena infatti rinvia al Cenacolo. Quando il Signore spezza il Pane davanti agli apostoli ci chiede di fare della nostra vita un dono per gli altri: ecco un monito per l'uomo di oggi che rischia di chiudersi in una geografia personale o in atteggiamenti egoistici , ancor più in questi momenti di difficoltà.
A Bolsena il sangue vivo, che durante la consacrazione ha bagnato il corporale e le pietre, rimanda all'invisibile che si è fatto visibile. Qui il Signore ci ha offerto un segno particolare per sostenere la fede , ha detto il Vescovo Mons. Tuzia. Un segno che va letto come richiamo a contemplare il mistero eucaristico e ad adorare il Santissimo Sacramento, ma anche come stimolo a lasciarsi trasformare e a convertirsi alla vita buona del Vangelo.
Penso – ha detto Mons. Tuzia – che in questo tempo i cristiani siano chiamati ad affrontare un itinerario di rinnovamento della loro fede. In questo angolo del Paese segnato dalla santità e dalla bellezza dell'arte c'è bisogno di avventurarsi in un percorso di purificazione e di riconciliazione.
L'insegnamento di Gesù, infatti, risuona ancora ai nostri giorni con la stessa forza: “Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la via eterna” (Gv 6,27). L'interrogativo posto da quanti lo ascoltavano è lo stesso anche per noi oggi: “Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?” (Gv 6,28). Conosciamo la risposta di Gesù: “Questa è l'opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato” (Gv 6,29). Credere in Gesù Cristo, dunque, è la via per poter giungere in modo definitivo alla salvezza..
La Porta Santa di Bolsena e quella di Orvieto sono il segno del passaggio salvifico aperto da Gesù Cristo con la sua incarnazione, morte e resurrezione perché tutti possano vivere da riconciliati con Dio e con il prossimo. E il passare per essa evoca il passaggio che ogni cristiano è chiamato a compiere dal peccato alla grazia. C'è un solo accesso che spalanca l'ingresso nella vita di comunione con Dio: Gesù, unica e assoluta via di salvezza “ Io sono la porta delle pecore: se uno entra attraverso di me, sarà salvo” Gv 10,7-9. Solo a lui si può applicare con piena verità la parola del Salmista: “E' questa la porta del Signore, per essa entrano i giusti” (Sal 118[117], 20)». E coloro che varcano “la porta del Signore” sanno di essere giusti non per i loro meriti, ma perché giustificati dal sangue del Redentore che li ha purificati, rendendo candide le loro vesti. “Santa” è la porta giubilare, poiché essa chiama alla santità della vita.
Così, la meta del pellegrinaggio giubilare è Gesù Cristo, porta santa dell'incontro con Dio, con se stessi e con gli altri. Una porta spalancata dalla misericordia divina, davanti alla quale inginocchiarsi col cuore per professare la conversione al mistero che essa dischiude e ricevere la grazia che libera dalle chiusure del peccato e fa fiorire il rendimento di grazie. Dinanzi al Dio con noi e per noi, «si pone infatti l'intera storia umana: il nostro oggi e il futuro del mondo sono illuminati dalla sua presenza. Egli è “il Vivente” (Ap 1,18), “colui che è, che era e che viene” (Ap 1,4). Di fronte a lui deve piegarsi ogni ginocchio nei cieli, sulla terra e sottoterra, ed ogni lingua proclamare che egli è il Signore (cf Fil 2,10-11)».
Coscienti delle debolezze, consideriamo questa ricorrenza un evento di grazia per riprendere a testimoniare con maggiore forza e autenticità l'Eucaristia nella vita quotidiana.
Redazione online
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