La responsabilità della Speranza e il lavoro dello Spirito
Sabato 29 marzo l'evento a Roma presso la Basilica di San Giovanni in Laterano
di RedazioneSabato 29 marzo a Roma, presso la Basilica di San Giovanni in Laterano (ingresso lato Obelisco), si svolgerà l'evento organizzato dal Censis dal titolo "La responsabilità della Speranza e il lavoro dello spirito".
Partendo dall’analisi svolta nei mesi scorsi sui “credenti non presenti” - una vasta zona grigia tra i cattolici italiani, fatta di soggettivismo e di distacco dalla pratica religiosa - si può rianimare la quotidianità della zona grigia assumendosi la responsabilità di un progetto sul “lavoro dello spirito”. Dalla ricerca emerge come ciò possa aprire ad una nuova vitalità, sempre più incarnata nelle reali esigenze umane, per uscire dall’indeterminatezza e dai rischi della demagogia.
In un periodo storico complesso come quello attuale, segnato da individualismo, competizione e frustrazione, la Chiesa sente forte la necessità di interrogarsi sul proprio ruolo e sulla propria capacità di offrire un contributo significativo per la costruzione di una società più giusta e fraterna.
L’evento si propone come un momento di riflessione e dialogo aperto a tutti coloro che desiderano approfondire il tema della speranza e del ruolo dello spirito nel nostro tempo.
Dopo i saluti del Cardinale Vicario Baldassare Reina, sarà presentata la ricerca Censis “Il lavoro dello spirito e la responsabilità del pensiero cattolico“. A seguire, un panel di esperti di grande rilievo, tra cui don Fabio Rosini, Massimo Cacciari, Giuseppe De Rita e p. Antonio Spadaro S.J., moderati da Andrea Riccardi, si confronteranno sui temi proposti.
Proponiamo di seguito l'intervista pubblicata nel numero di febbraio 2025 della rivista San Francesco patrono d'Italia a Giulio De Rita, ricercatore Censis che ha svolto la ricerca e che ha commentato insieme a noi.
Essere sempre di più “in uscita” è l’esortazione di papa Francesco alla Chiesa, da non intendersi come uno slogan o uno spot. Una Chiesa che non è in uscita è una Chiesa che si ammala, ma – come ha sottolineato con fermezza in un Angelus nel settembre del 2020, «è meglio una Chiesa incidentata, per uscire, per annunziare il Vangelo, che una Chiesa ammalata da chiusura». In questo contesto il ruolo dei laici all’interno della Chiesa assume un peso sempre maggiore. L’Istituzione vive oggi una incapacità nel trasmettere i propri valori, nell’utilizzare un linguaggio che è quello della società del 2025. Eppure, nonostante la crisi delle vocazioni e l’allontanamento sempre maggiore delle persone dalla vita cristiana, la cultura e i valori cattolici rimangono radicati negli italiani.
Il rapporto stilato dal Censis alla fine del 2024 su Italiani, fede e Chiesa, con il ricercatore Giulio De Rita, evidenzia che tra coloro che vivono attivamente la fede cristiana e coloro che se ne allontanano convintamente, vince una “zona grigia” – come la definisce il testo del rapporto – «il né bianco né nero, che nel caso della Chiesa italiana non è una nuova declinazione della società liquida, ma un riposizionamento individuale, in uno spazio ampio e inclusivo, dai confini volutamente non ben definiti». È una grande fetta di persone le cui domande e ricerca di senso vanno intercettate. E lì la Chiesa deve lavorare, per farsi trovare pronta a rispondere. Facendosi cioè Chiesa in uscita.
Dottor De Rita, con quale modalità è stato redatto lo studio?
L'idea che guida la ricerca – commissionata dalla Conferenza Episcopale Italiana – è di conoscere la “zona grigia” dei cattolici in Italia. Lo spazio che si trova tra i praticanti e i non praticanti, che sono difficili da intercettare. La domanda a cui rispondere è stata: quando le “pecorelle smarrite” vanno nel mondo, cosa portano con sé dei valori cristiani? Quali sono le dimensioni valoriali in cui ancora, più o meno consapevolmente, si crede? La risposta che emerge dalla ricerca è molto più di quello che uno si immagina. Il 40% delle persone dice che il segno della croce fa parte del proprio sentire.
La cultura cattolica resta comunque molto presente nella società, nonostante la Chiesa sembri diventata più debole nel trasmettere i propri valori e i fedeli si allontanino da essa.
Almeno tra le persone con più di trent’anni. Il vero problema si presenterà tra dieci anni, quando non ci stanno generazioni con una cultura “forte”, solida. Oggi la cultura è indebolita da molti fattori. La chiesa deve “uscire”, andare oltre il sagrato e «di essere pastori con “l'odore delle pecore”, pastori in mezzo al proprio gregge, e pescatori di uomini», come disse il papa Francesco pochi mesi dopo la sua elezione. La Chiesa non deve avere timore di far parte di certi processi: c'è ancora molto da dire e molto da fare, per fare Chiesa. Deve uscire dalla “sindrome del declino”.
Dai risultati che avete ottenuto, è evidente il cambiamento in corso che vede i laici assumere un ruolo sempre più importante all'interno della vita della Chiesa?
Personalmente non farei, per certi ruoli, la distinzione tra laici e non. Siamo un popolo in cammino e insieme ci confrontiamo con problemi, esigenze e aspettative nuove. Facendo sempre riferimento alle parole di papa Francesco, siamo un «ospedale da campo» con abbastanza “morti” e “feriti”, ma comunque con una forte esigenza di spiritualità: il 60 % del campione prega quando ha una richiesta d'aiuto da chiedere, come anche in momenti di forte emozione: c’è sempre la tendenza a rivolgersi ad un'entità superiore. È in questo spazio di esigenza che la nostra parola può attecchire.
Vi aspettavate i risultati che avete ottenuto?
Ero più ottimista, ma sono stati comunque sorprendenti. Oltre alla questione del segno della croce – di cui ho detto –, abbiamo notato una forte devozione per la Madonna e che una parte molto maggioritaria del campione sostiene che nessuno in questo momento è in grado di “prendere il posto” di Gesù nel nostro sentire. Che altro messaggio abbiamo di vita eterna? Quali altre parole abbiamo di vita eterna? Un 60% degli intervistati aspira a immaginare, crede o desidera che non finisca tutto qua, che ci sia una vita dopo la morte. Mi aspettavo, comunque, un dato più alto. Anche questo è una zona buona in cui “seminare”, perché ci sono persone che attendono delle risposte.
Quali, secondo lei, sono oggi i punti “deboli” della Chiesa? Nella comunicazione, nell'educazione, o altro?
“Comunicazione” in questo contesto è un termine che non mi piace, parlerei di “linguaggio”. Ci sono documenti della Chiesa che sembrano sempre molto alti, ma andando al sodo dicono poco; faccio un esempio: mi è capitato di leggere un documento in proposito della vita di coppia e del matrimonio, c'erano espressioni come “il talamo è l'altare dell'amore”. Da uomo sposato e cattolico le ho, comunque, trovate “irritanti”. È tutto troppo clericale, distante dal sentire della gente e dalla vita quotidiana delle persone. Servirebbe un linguaggio diverso. Il 19 gennaio scorso, Antonio Spadaro, in un articolo per Avvenire, scriveva di “teologia rapida”, paragonandola al surfare le onde. Concetti del genere sono la chiave di volta, secondo me. Saper intercettare la vita reale delle persone è fondamentale, perché siamo “in lotta” contro l'individualismo dilagante. Come Censis, il 29 marzo prossimo faremo un incontro a Roma per capire quali sono le parole che la cultura cattolica, intesa come popolo di Dio, dovrà usare nell’ambito della società contemporanea. Servono termini reali, Pierre Teilhard de Chardin negli anni Venti scriveva che «la Chiesa deperirà se non sfuggirà al sacramentalismo quantitativo, per reincarnarsi nelle aspirazioni umane concrete. La nostra vita è là, incarnarsi nelle aspirazioni umane concrete e portarle giustamente verso Dio».
Dal rapporto emerge, tra le questioni, il giudizio: tanto quello altrui se parliamo di societè, tanto quello “finale” in riferimento al trascendente.
Come detto, è alta ma non altissima la percentuale di chi crede in una vita dopo la morte, tra questi una maggioranza si aspetta il giudizio finale, una parte anche che questo possa influire sulle scelte di vita. Poi c’è chi, pur essendo convinto di una vita oltre la morte, non si preoccupa perché crede che ci sarà una sorta di “condono”, una misericordia gratuita e incondizionata per tutti.
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