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Natale, l'evento che rievoca la storia più importante dell'umanità

Maurizio Bettini, ha portato a termine dopo anni di studio una grande inchiesta sulle origini del presepe

di Franca Giansoldati

Si  avvicina puntuale e maestoso il Natale, l'evento che rievoca la storia più importante dell'umanità. E mentre riaffiora ciclica la solita polemica sul presepe stavolta legata all'immagine della Sacra Famiglia che fugge in Egitto quale archetipo della famiglia dei nuovi migranti (il copyright dell'accostamento è di Pio XII con la costituzione apostolica Exsul Familia del 1952 e non di Papa Bergoglio), uno dei più noti antropologi italiani, Maurizio Bettini, ha portato a termine dopo anni di studio una grande inchiesta sulle origini del presepe, partendo da una domanda di fondo piuttosto banale: cosa c'è di vero in quella rappresentazione? DUBBI Bettini da filologo e latinista, forte di un approccio laico alla materia, quasi nei panni di un insolito 007, è andato ad analizzare a fondo ogni minimo dettaglio sulle fonti disponibili, incrociandole, ripercorrendone i sentieri semantici, incollando tessere di un mosaico nel quale sembra ci sia ancora tanto da dire. Per esempio, le figure del bue e dell'asino, che sono comparse nella natività allestita a Greccio da San Francesco oltre dieci secoli dopo gli eventi dei Vangeli, fanno parte di una allegoria da prendere in considerazione, oppure sono elementi posticci, come del resto è posticcia tutta la scena della mangiatoia, dei pastori increduli e della cometa. Bettini smonta tanti luoghi comuni in un bellissimo libro, pubblicato da Einaudi, intitolato Il presepio (19 euro, 192 pagine). Tanto per cominciare quello di Greccio non si può di certo considerare la prima ritualizzazione scenica. Ce lo assicurano diversi sarcofagi di marmo paleocristiani del IV secolo, dove già a partire da quel periodo - 400 anni dopo l'evento narrato nei Vangeli - il lavorio della memoria culturale era già cominciato e le due tradizioni narrative della nascita, quella dell'evangelista Luca e quella di Matteo «erano già confluite in un unico racconto visivo, il cui svolgimento già presagiva le innumerevoli scene di natività che popoleranno tavole, affreschi e sculture della tradizione successiva, fino ai giorni nostri». INDAGINI Gli ingredienti non mancavano fin dal principio: il bambino, la greppia, il bue, l'asino, i pastori. Lo stesso si può vedere su un altro sarcofago scolpito nella pietra, stavolta conservato a Milano, sempre dello stesso periodo, oppure in un affresco a Verona, nell'Ipogeo di Santa Maria in Stelle, anch'esso coevo. Con una pazienza certosina l'antropologo ha collezionato dettagli, andando a ritroso nel tempo.

 Il racconto dei Vangeli è interessante. Se Luca parla di un neonato deposto in una mangiatoia, con il gregge, gli angeli, Giuseppe e Maria e i pastori stupiti (il bue e l'asino non ci sono), l'evangelista Marco sorvola sui particolari e racconta che Maria diede luce il bambino in una casa («a vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino»). L'evangelista parlava di una casa, una location un po' banale, ma forse voleva più focalizzare l'attenzione sulle persone che popolarono quella scena. «Tutti personaggi che nella tradizione ebraica era loro attribuita una condizione di estrema marginalità, di conseguenza scegliere proprio loro, come primi testimoni della Natività, doveva per forza avere un valore simbolico» scrive lo studioso. E la grotta da dove spunta? Per arrivare a quella bisogna prendere in mano il Protovangelo di Giacomo, negli Apocrifi che narra del parto in una spelonca. «Nella grotta apparve una gran luce che gli occhi non potevano sopportare. Poco dopo quella luce andò dileguandosi fino a che apparve il bambino..» Ma le coincidenze non finiscono qui, perché se Luca nel suo scarno racconto lascia volutamente imprecisato il luogo dell'evento, «per limitarsi invece a sottolineare dove 'non' si svolse l'evento, citando magari un albergo, una locanda, una stanza, che sarebbe stato piuttosto naturale per una coppia in viaggio per il censimento» si inserisce il filosofo Giustino, martirizzato a Roma nel 163, che in uno scritto, (Dialogo con Trifone Giudeo) fornisce una versione ben precisa: «Il bambino nacque a Betlemme e poiché Giuseppe non poté trovare posto all'albergo, prese alloggio in una certa grotta nei dintorni del villaggio». Non solo. Giustino aggiunge una tessera in più, citando contestualmente il profeta Isaia che nove secoli prima preconizzava la presenza di una grotta (Egli dimorerà in una grotta eccelsa di solida pietra). A ravvivare l'immagine della grotta si unisce anche Origene, filosofo greco del II secolo dopo Cristo che parla della grotta di Betlemme e della mangiatoia dove fu collocato il piccolo appena nato. L'antropologo nel suo excursur risolve poi l'enigma del bue e dell'asino. Erano veramente presenti questi due animali allegorici? Lo scenario della nascita sembra fare un passaggio decisivo proprio con queste due bestie. Stavolta è una lettera del IV secolo, scritta da San Gerolamo ad un suo amico per la morte della mamma, donna molto pia e devota che era stata pellegrina a Betlemme.

TESTIMONIANZE In quello scritto Gerolamo descrive quello che potevano vedere i pellegrini dell'epoca nei luoghi della nascita di Cristo, il sacro alloggio ( deversorium ), la stalla (stabulum) in cui il bue riconobbe il suo proprietario e l'asinello la mangiatoia del suo padrone «affinché si compisse ciò che sta scritto nello stesso profeta Isaia, otto secoli prima della nascita di Gesù, nella sua profezia: beato chi semina sulle acque, dove camminano il bue e l'asino». Già a quei tempi chi arrivava poteva immaginare il piccino avvolto in un telo, la madre china, la stella che splendeva, i magi che adoravano, i pastori che arrivavano incuriositi. «Per vedere il verbo che era stato generato» annotava Girolamo. Il presepio che i bambini si divertono a preparare ogni anno, sull'esempio della tradizione, resta ancora un paesaggio antico, familiare e meraviglioso al tempo stesso, capace di sprigionare potenza e toccare chiunque, credenti, atei o indifferenti. È sempre un viaggio nel tempo che riporta ai Natali dell'infanzia, quando si riportavano dalla soffitta gli scatoloni contenenti la capanna, le statuine e si aspettava il 25 dicembre. La nascita, lo stupore, le stelle. (Il Messaggero).



Franca Giansoldati

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