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Quando Giovanni Paolo II scriveva poesie

di Antonio Tarallo
Credit Foto - Redazione online

16 ottobre 1978, 16 ottobre 2018. Quarant’anni fa, con l’ormai famosa frase “Se mi sbaglio, mi corrigerete”, pronunciata dalla loggia centrale della facciata della Basilica di San Pietro,  Giovanni Paolo II entrava nel suo lungo, lunghissimo pontificato. Dietro a questo nome “composto”, un uomo, soprattutto. Prima di divenire Vescovo di Cracovia e Cardinale di Santa Romana Chiesa, quel Papa, quel Santo, si chiamava Lolek, questo l’affettuoso “nomignolo” coniato dai suoi amici di Cracovia. Immergiamoci, allora, in uno degli aspetti meno conosciuti,  ma assai significativi della sua esperienza umana-culturale che – in buona misura – influenzò/determinò, non poco, la sfera spirituale, e successivamente, proprio quella del suo pontificato. Karol Wojtyla, attore, poeta, drammaturgo.

Era il 1934. Periodo esaltante per la sua partecipazione teatrale, che proseguì anche durante l’occupazione tedesca del 1939. Questo il ricordo di un compagna e amica di quel tempo di Karol Wojtyla, attore: “Erano quelli anni straordinari, nonostante le umiliazioni, la paura, la miseria. Non badavamo al pericolo, eravamo giovani e volevamo combattere e studiare. Il nostro teatro lottava per conquistare la libertà non con le armi che usavano i nostri coetanei, ma con l’arma della parola polacca cancellata dai Tedeschi”. La testimonianza si trova nell’interessante volume “Quando Karol aveva diciott’anni”, Edizioni Paoline. Erano, quelli, gli anni di grande fermento intellettuale, legato a quello politico, di una Polonia invasa dai tedeschi. Wojtyla, all’epoca, un ragazzo di bella presenza (come si direbbe oggi), frequentava i circoli culturali universitari, fucina di compagnie teatrali del cosiddetto “teatro rapsodico”, o “teatro della parola”. Tanti i drammi interpretati dal giovane Lolek, messi in scena di nascosto, per timore delle truppe del Terzo Reich.


Ma, questo è solo un lato artistico del giovane Karol. E’ necessario nominare l’altro suo grande “amore”, quello della Poesia, che lo accompagnerà anche durante il ministero pietrino. Ricordiamo la raccolta poetica “Trittico romano”: la sua elezione, in forma poetica. E’ il Wojtyla, poeta che scrive. La poesia è stata tanto importante per il suo itinerario umano e spirituale e  si riconduce, all’origine, a una figura, in particolare: San Giovanni della Croce. Poesia va di pari passo con il silenzio, e quindi, contemplazione. Un silenzio interiore che desta la meditazione, e poi lo scritto. Testimonianza assai valida di questo processo, la poesia “Rive colme di silenzio” (del 1946)  in cui l’autore ci dice: “Lontane rive di silenzio cominciano appena al di là della soglia./ Non le sorvolerai come un uccello./ Devi fermarti a guardare sempre più in profondità/ finché non riuscirai a distogliere l’anima dal fondo”. Che la soglia di cui parla Wojtyla sia quella del Monastero dei Carmelitani è abbastanza plausibile visto la sua intenzione originale di entrarne a far parte. Questa, tra l’altro, è l’interpretazione a cui la critica fa maggiormente riferimento. Ma – una più accurata lettura – ci spinge a pensare che quella soglia (visto l’animo filosofico dell’autore) vada cercata di più in un “qualcosa”, legato al “sé”, legato all’intimo, alla soglia del proprio animo. Il cercare di contemplare il Tutto, cercando di uscire da sé stessi, e allo stesso tempo, entrare sempre più nello scandaglio del proprio io. E’ il perenne, sublime, ossimoro della Poesia, e dell’Arte in generale, e se vogliamo – visto che stiamo parlando di un Santo, ricordiamolo – del cammino spirituale.

Altro punto fondamentale, il Wojtyla drammaturgo. Per quella forza intrinseca di spiegare, di rivelare agli Uomini l’Uomo, attraverso immagini che divengono concetti, la drammaturgia diviene il “naturale habitat” delle sue intuizioni sulle profondità dell’Umanità, oggetto che la filosofia e la teologia ha sempre cercato di indagare. Il filosofo Giovanni Reale, dirà infatti:  “Wojtyla ha iniziato con l’essere poeta e drammaturgo, poi ha proseguito il suo cammino come filosofo e teologo. Wojtyla riunisce dunque in sé le tre grandi componenti del pensiero, e perciò costituisce quella figura emblematica di un uomo che in vari modi percorre tutte queste vie per raggiungere la Verità”. Il Teatro è composto da un immaginario reale che nella finzione trova la sua Verità. E’ il caso del personaggio/pittore Adamo nell’opera teatrale “Fratello del nostro Dio” (prima stesura del 1944) che dipingendo una tela che potrebbe benissimo assurgere a metafora del cosiddetto “mondo fittizio”, o meglio, “finto” del Teatro, riesce a penetrare meglio in sé stesso. L’Arte diviene ricerca del sé e, di seguito, sua scoperta. Nel “venerare” l’Uomo dipinto, il volto di Cristo, Adamo arriva a quella consapevolezza di sé che gli fa dire: “Tu per me devi assumere questa forma. La forma che abbraccio con l’anima, e queste macchie di colore sulla tela – e Tu in tanti uomini – una cosa sola – Eppure così ti perpetuerò in tanti, tanti uomini. Ma che male c’è in questo? – Forse che ciò può opporsi a Te? No, no. (…) I miei occhi non riescono più a vederTi – ma nello stesso tempo io Ti vedo in modo sempre più penetrante. Com’è possibile?”


Tutto il percorso artistico-spirituale di Wojtyla – di cui si è tracciato solo alcuni punti e/o  opere – risulterebbe però incompleto, se non si nominasse il tema che più volte ha fatto da “sottotesto” alle sue opere, e che ha avuto modo, poi, di segnare l’intero suo pontificato: l’Amore.  Accennando a questo tema, non si può non pensare alla sua opera drammaturgica “La bottega dell’orefice”, incentrata sull’amore coniugale che divine anche “emblema” di un amore ancora più vasto, quello che arriva a lambire Dio. L’autore polacco farà dire al personaggio-Coro, a un certo punto della narrazione scenica, che “l’Uomo è Amore”. E’ stata proprio questa consapevolezza  della “natura umana”  a essere stata, per Karol Wojtyla, la “molla” per la sua ricerca spirituale e poetica che l’ha portato, lo ha innalzato a Dio. E’ stato l’incontro dell’Uomo, del Sacerdote, del Papa, Karol Wojtyla, con le “persone vere”, a far scaturire pagine di così alto valore letterario, che andrebbero riscoperte e approfondite. E se sono riuscite ad esprimere un “territorio” così vasto come quello dell’Umanità, è solo perché – oltre grazie all’ingegno del suo autore – hanno incarnato l’Amore nelle sue molteplici espressioni. Wojtyla le conosceva bene, in fondo, come scriverà nella poesia “Canto del Dio nascosto”:


“L’Amore mi ha spiegato ogni cosa, / l’Amore ha risolto tutto per me – / perciò ammiro questo Amore dovunque Esso si trovi”
.




Antonio Tarallo

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