Regolo racconta l'incontro tra la mistica di Paravati e il Frate con le stigmate
Le analogie a tutto tondo tra Padre Pio e Natuzza Evolo
di Luciano Regolo
Pubblichiamo un brano tratto dal libro di Luciano Regolo, Il dolore si fa gioia - Padre Pio e Natuzza, due vite, un messaggio (Mondadori 2013) sull'incontro del 1962 a San Giovanni Rotondo tra la mistica di Paravati e il Frate.
Le analogie a tutto tondo tra Padre Pio e Natuzza Evolo sin qui evidenziate colpiscono ancor più se si tiene conto che “storicamente” i due non si videro che una sola volta, a San Giovanni Rotondo, nel 1962. Ad accompagnare la mistica di Paravati al convento sul Gargano furono i coniugi Libero e Italia Giampà, che, devoti al frate, vi andavano periodica- mente dalla fine degli anni Quaranta e più volte erano stati testimoni dei carismi di Padre Pio. Il professore, terziario francescano, intimamente preso dalla figura del Poverello di assisi, come documenta il suo diario, si era anche imbattuto nella severità iniziale di Padre Pio, per poi constatarne l’effetto benefico sul proprio cammino spirituale. La moglie, assistendo da sola alla messa del mattino celebrata dal futuro santo di Pietrelcina, era svenuta in chiesa vedendolo levitare al momento dell’elevazione dell’ostia santa, mentre era avvolto da una misteriosa luce.
Nel rievocare questi episodi la Diodati Giampà, di cui raccolsi le memorie nel 2010, mi fece vedere commossa la polvere di tabacco e un pizzico delle erbe medicali che Padre Pio aveva donato a Libero in occasione di una loro vi sita a San Giovanni Rotondo e una foto, tra le sue cose più care, che ritraeva i due insieme nella loro casa catanzarese di via Borelli, dove accolsero più volte Natuzza. Secondo quanto riferitomi da Italia, Natuzza voleva da tempo essere confessata dal santo Cappuccino e poté realizzare, con il loro aiuto, l’intimo desiderio quell’anno, quando anche i suoi figli minori, Angela e Francesco, erano cresciuti abbastanza da poter essere affidati, durante la sua assenza, a quelli più grandi, ai parenti e al padre, che tuttavia era spesso trattenuto lontano da Paravati per il lavoro.
Nel 1962 Padre Pio ha settantacinque anni, la mistica è alla soglia dei trentotto. Il frate, due anni prima, ha festeggiato i cinquant’anni di sacerdozio, “d’indegnità”, diceva lui, umilissimo sino alla fine. Tra tutti i messaggi di felicitazione ricevuti da ogni dove, anche quello “per i così tanti doni e i così numerosi frutti” dell’arcivescovo di Milano Montini, che nel 1963 succederà a Giovanni XXIII alla guida della Chiesa. Ha visto inaugurare nel 1956 la Casa sollievo della sofferenza e nel 1959 la nuova chiesa, accanto a quella piccola, moltiplicarsi i gruppi di preghiera cui ha dato vita. Ma Padre Pio ha anche dovuto affrontare di recente un’altra “persecuzione”.
Nel 1958 il sant’Uffizio ha inserito otto libri scritti su di lui nell’indice dei volumi proibiti e, dopo l’indagine di monsignor Maccari, inviato dalla santa sede nel 1960, ha subito nuove restrizioni: non può più celebra- re la messa aperta a tutti i fedeli ogni giorno e alla stessa ora, inoltre deve limitarne il tempo tra i trenta e i quaranta minuti al massimo; la folla, poi, va tenuta il più lontano possibile dal confessionale quando si dedica al sacramento della riconciliazione. Misure restrittive che si cominceranno ad attenuare in quel 1962, quando gli fu concesso di sostituire la lettura del breviario con la recita del Rosario e, il 7 luglio, “L’osservatore Romano” definì “scandalose e false” le voci riferite da altri quotidiani sui registratori “collocati perfino nel confessionale” di Padre Pio per tenerlo costantemente sotto controllo. saranno poi rimosse definitivamente nel 1964, sotto Paolo VI.
Ma neppure nelle ennesime calunnie e mortificazioni affrontate, il frate delle stigmate, sempre più debilitato nel fisico, perde la forza e la gioia derivanti dalla vicinanza con Gesù e la Madonna, la “Mamma Celeste” che gli ha dato un ulteriore segno di benevolenza con la sua prodigiosa guarigione del 1959.
La stessa effigie della Vergine di Fatima invocata da Padre Pio nella sua malattia era arrivata nella casa della mistica a Paravati e, l’anno dell’incontro tra la Evolo e il frate, cominciò a dare segni prodigiosi, come l’oscuramento del volto durante la crisi di Cuba. La guerra fredda tra Urss e Stati Uniti, ma anche l’ultima fase del sanguinoso conflitto tra francesi e algerini, agitano lo scenario internazionale di quel 1962, mentre in Italia, dopo ben nove scrutini, il 6 maggio Antonio Segni è eletto capo dello stato e il 27 ottobre la pubblica opinione è scossa dal misterioso incidente aereo in cui perde la vita il presidente dell’Eni, Enrico Mattei. Nell’era delle forti contrapposizioni ideologiche, dell’incubo nucleare e del dilagante consumismo, la Chiesa decide di dare nuovo vigore alla sua azione evangelizzatrice con il Concilio ecumenico Vaticano II, aperto solennemente da papa Giovanni XXIII l’11 ottobre di quell’anno.
Padre Pio è agli sgoccioli del suo percorso terreno; Natuzza, invece, non è neppure alla metà. Da poco si è interrotto per la Evolo il fenomeno delle trance, che inizialmente, con quello delle emografie, ha richiamato l’attenzione popolare su di lei, ma proprio in quel periodo hanno cominciato a rendersi più visibili, dolorosi e costanti i segni della sua partecipazione alla Passione del Cristo. Inoltre, in quello stesso scorcio di tempo, anche la mistica di Paravati sta subendo misure restrittive con il vescovo di Mileto De Chiara, che le ha imposto di non ricevere più la gente che bussa alla sua porta in cerca di conforto. Forse è anche questo a rendere più impellente in Natuzza, che è madre di cinque figli, Salvatore (diciassette anni), Antonio (quasi quindici), Anna Maria (dodici), Angela (otto) e Francesco (sei) e deve già conciliare nella quotidianità la totale dedizione al signore con le incombenze familiari, il desiderio di incontrare Padre Pio, di affidargli in una confessione tormenti interiori che lui può comprendere meglio di qualunque altro sacerdote e riceverne la benedizione.
In questo pellegrinaggio della trentottenne Evolo, oggi, alla luce dell’evoluzione assunta nel corso dei decenni successivi dal suo apostolato, può cogliersi un segno sia di umiltà e fede autentiche sia di una consapevolezza interiore particolare sui carismi del futuro santo, poiché non le accadde mai di lasciare la famiglia per più giorni se non per quell’insolito appuntamento, forse parte di un altro degli imperscrutabili disegni celesti che sembrano coinvolgere entrambe le figure; forse suggerito alla mistica di Paravati da uno dei suoi interlocutori celesti, anche in vista degli assalti diabolici che si sarebbero intensificati nella sua vita di lì in avanti e contro i quali Padre Pio aveva maturato una lunga, inossidabile ed eroica resistenza.
Un’ipotesi, questa, cui induce la considerazione che la presenza bilocativa del frate, come si è detto, sarà di grande conforto a Natuzza nelle prime violente manifestazioni del diavolo. dalla testimonianza di Italia Giampà, comunque, risulta che entrambi, pur senza essersi “ufficialmente” mai visti, sembravano conoscersi da sempre. Nel congedare la moglie del professore che si confessa per ultima, Padre Pio, prendendole il viso tra le mani, le sussurra: “grazie, grazie per avermi portato la santa!”. Qualche istante dopo la Evolo le confida: “signora mia, lo sapete che con lui ci conosciamo bene. Però, mo’, vedendolo da vicino, so che davvero quest’uomo ha fatto opere grandi e io sono felice che siamo venuti da lui”.718 Quel “conoscersi bene” merita una riflessione.
Un legame arcano tra i due si andava intrecciando da tempo realmente, al di là delle analogie nelle loro esperienze. Per ben due volte prima del 1950, secondo Nicola Valente, il futuro santo, si era presentato in spirito alla giovane mistica, esortandola a essere più coraggiosa e severa nel riprende re le persone che voltavano le spalle al richiamo della fede. Padre Pio, inoltre, sembrava davvero essere perfettamente al corrente di quanto accadeva alla Evolo, perché a diverse persone che andarono da lui a San Giovanni Rotondo e gli chiedevano durante il colloquio se fosse opportuno o no andare da Natuzza, rispondeva sorridente: “andate pure, questa donna la conosco!”.
Del legame a distanza tra la giovane mistica di Paravati e il futuro santo da Pietrelcina mi ha fornito una testimonianza diretta Tota Spatolisano, la cui famiglia era devotissima a Padre Pio, ma seguiva da vicino e con trasporto pure la Evolo, sin dagli anni Quaranta. Racconta Tota: «Quando il mio futuro marito [il medico Mario Cortese, N.d.R.] mi chiese in moglie, la mia famiglia nutriva delle perplessità, specialmente perché quel giovane medico non era della nostra provincia e, quindi, non conoscendolo, guarda- vano con maggiore favore ad altri possibili “candidati”.
Così ne parlai con Natuzza perché sostenesse la mia scelta e lei, in termini entusiastici, rispose: “Tra i tanti pretendenti sposate il giovane che è nato nella mia stessa provincia [Cortese era di Catanzaro, della cui provincia allora faceva parte Paravati, N.d.R.]”. Io, un po’ scherzosamente, replicai: “Non vi credo! ora quando vado a San Giovanni Rotondo chiederò a Padre Pio”. Natuzza, ridendo: “andate, andate pure, poi ditemi quello che vi ha detto”. Così mi recai in Puglia, dove aspettai ben ventidue giorni prima di poter essere confessata dal santo frate. Questi, appena mi trovai davanti a lui, mi disse: “Che siete venuta a fare? Sposate Mario Cortese e lasciate tutti gli altri per la loro strada, altrimenti non formereste una famiglia cristiana!”. e concluse con le medesime parole di Natuzza: “Ricordati che il matrimonio è una cosa che si fa una sola volta nella vita”.
La Spatolisano mi ha anche riferito che, nel periodo in cui la Evolo attendeva l’arrivo della statua della opera del Moroder, mentre lei si trovava con Mario Cortese in casa della mistica assieme a Natuzza e al marito Pasquale, arrivò una telefonata che segnalava un collo voluminoso intestato alla loro famiglia all’aeroporto di Lamezia Terme. Pasquale partì su due piedi, pensando che si trattasse della Madonnina. Dopo un po’, però, sentimmo Natuzza, dall’altra stanza, ridere di gusto. Poi, riavvicinandosi a noi, ci spiegò di aver visto Padre Pio: “Mi ha detto che nel collo non c’è la statua che aspettiamo, ma dei libri spediti dalle suore”. Poi, rivolta a una delle figlie, credo fosse Angela, aggiunse, sempre divertita, in dialetto: “e ora chi lo sente tuo padre?”. Infatti, dopo un bel po’, arrivò Pasquale in collera, dicendo: “Ma insomma, queste benedette suore! ogni volta mandano ’sti libri e mi costringono ad andare in giro per prenderli!”.
Natuzza, con espressione dolce, sorridendo gli rispose: “Me l’aveva detto Padre Pio!”. e Pasquale, con una battuta divertente, che tradiva tutta la sua umanità: “Ma non poteva dirtelo prima, senza farmi arrivare sino a lì inutilmente?”. FAMIGLIA CRISTIANA
Luciano Regolo
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