SAN FRANCESCO, L'ISLAM E IL MUEZZIN
di Felice Accrocca
Nel 1219 Francesco partì alla volta dell’Egitto, portando con sé frate Illuminato. Quest’esperienza ha lasciato tracce evidenti sul testo della Regola: nella cosiddetta Regola non bollata, il capitolo XVI tratta infatti del modo in cui dovevano comportarsi coloro che si recavano “tra i saraceni e gli altri infedeli”.
Il testo esprime la visione francescana dell’obbedienza, che raggiunge il suo culmine nell’abbandono totale al Signore e nella consegna della propria esistenza (i frati hanno «abbandonato i loro corpi»). È possibile che la prima parte del capitolo (vv. 1-4) sia stata inserita nel testo della Regola a seguito delle decisioni del Concilio Lateranense IV (1215), tuttavia non prima del 1217, anno in cui furono istituite le provincie religiose con i relativi ministri; difficile invece pensare che in quella prima inserzionefossero presenti anche le indicazioni che seguono, con l’avvertimento che duplice era il modo in cui i frati potevano «comportarsi spiritualmente in mezzo a loro» («saraceni», appunto, e «altri infedeli»): solo dopo essersi sincerati che ciò fosse piaciuto al Signore, essi potevano darsi a un’esplicita opera di evangelizzazione, invitando apertamente i musulmani ad abbracciare la fede trinitaria, mentre rimaneva sempre e comunque possibile l’alternativa di una vita nascosta, che non aveva altro modo di porsi se non quello di una muta e silenziosa testimonianza, senza muovere liti né questioni e sottomettendosi ad ogni creatura.
Ha ragione Carlo Paolazzi, quando osserva che questa duplice modalità si rivela «evangelicamente, storicamente e teologicamente» commisurata «al mondo dei credenti musulmani». In ogni caso, quello che Francesco visse e insegnò in un’epoca in cui spirava forte il vento della crociata, fu lo stesso stile di presenza che molti secoli più tardi Charles de Foucauld avrebbe incarnato in quegli stessi luoghi dove Cristo aveva vissuto.
Peraltro, da quell’incontro con il mondo islamico Francesco apprese qualcosa di bello, che tentò di trapiantare in Occidente. Com’è stato ipotizzato da molti, l’invito presente nella Lettera ai reggitori dei popoli a far annunciare ogni sera, «mediante un banditore o qualche altro segno, che all’onnipotente Signore Iddio siano rese lodi e grazie da tutto il popolo», può ritenersi infatti il tentativo d’introdurre tra le popolazioni cristiane la consuetudine dell’invito alla lode divina lanciato più volte al giorno dai muezzin dall’alto dei minareti.
Il testo evidenzia il rifiuto di una logica fondata sullo “scontro” religioso. A distanza di otto secoli, dobbiamo riconoscere che è ancora questa la profezia per il futuro, una profezia alla quale sono chiamati, in primo luogo, tutti i figli di Abramo – ebrei, cristiani e musulmani – e tutti i credenti in Dio. Una via che rifugge dall’irenismo a buon mercato e chiede rispetto reciproco, accoglienza, conoscenza dell’altro; una via che ricerca la verità attraverso il confronto e il dialogo, aborrendo ogni forma di violenza.
Felice Accrocca
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