San Francesco nella letteratura italiana ed europea
Da Dante a Pasolini passando per Chesterton le tracce del Poverello di Assisi impresse nella letteratura
di Antonio TaralloLa letteratura, la Poesia nasce sempre dal reale. Nasce, non c’è dubbio, da personaggi che catturano oltre l’opinione pubblica – in tutti i suoi “generi”, dall’accanito lettore, al semplice uomo della strada – anche l’artista, lo scrittore, il narratore, il poeta. Il filo del racconto è un filo particolare, non c’è che dire. Parte, a volte, dalla semplice fantasia. Altre volte, invece, attinge alla Storia, agli avvenimenti che la stessa Storia presenta.
San Francesco sì, religioso, mistico, innovatore e iniziatore del francescanesimo, e questo tutti lo sappiamo. Ma pochi sanno che la sua figura – oltre agli incantevoli affreschi giotteschi – è stata oggetto di una vasta letteratura che si è diramata nei secoli, in un modo addirittura globale. Non solo l’Italia ha prodotto opere sul Poverello. Dal “nostro italico” Padre Dante – come si suol dire – al più contemporaneo Pasolini, visto che prima del film omonimo ha dovuto scriverne la sceneggiatura, che rimane ancora oggi una degna trasposizione letteraria della sua vita. Da Chesterton a Hermann Hesse, per oltrepassare le alpi.
Dante ha per Francesco d'Assisi un amore sconfinato, sia come Uomo, sia come Uomo religioso. Una grande ammirazione che sfocia nel XI Canto del Paradiso. Parlando di lui, il Sommo poeta, vuol farci comprendere che cosa voglia dire cambiare radicalmente vita, e come sia possibile mostrare Cristo agli Uomini, e imitarne la vita. Diciamo pure che il “contenuto” è abbastanza grande, così come il “contenitore”: un canto della “Divina Commedia” a lui dedicato, assieme a un altro santo, San Domenico.
Ma focalizziamoci sul santo di Assisi, dove non può non riscontrarsi soprattutto un elemento: la luce. La prima immagine, infatti, è proprio quella di una luce splendente sul mondo intero. E, non è un caso che per Dante, Assisi è “Oriente”, dove “nacque al mondo un sole”. Ma un elemento cardine è – ovviamente – l’incontro con Madonna Povertà: “Non era ancor molto lontan da l’orto, / ch’el cominciò a far sentir la terra/ de la sua gran virtute alcun conforto;/ ché per tal donna, giovinetto, in guerra/ del padre corse, a cui, come a la morte,/ la porta del piacer nessun diserra;/ e dinanzi a la sua spirital corte/ et coram patre le si fece unito;/ poscia di dì in dì l’amò più forte” .
In poche parole, più vicino a noi: “Non era ancora molto lontano dalla sua nascita, quando Francesco cominciò a riflettere in Terra la sua luminosa virtù; infatti, ancora giovane, si scontrò col padre per una donna (la Povertà) alla quale nessuno vuole unirsi, quasi come se fosse la morte; e di fronte al tribunale episcopale e in presenza del padre le si unì in nozze; in seguito, l'amò sempre di più ogni giorno”.Dante aveva colto l’episodio più rilevante dell’intera vita di San Francesco: il seguire la povertà, a cui il santo “si fece unito”.
“Si può riassumere in alcuni concetti fondamentali il modo con cui Chesterton considera realisticamente San Francesco. E’ un poeta, non solo nel senso che sente e canta la poesia, ma soprattutto che vive poeticamente. La poesia è espressione immediata dell’intuizione del reale, a differenza della prosa che è discorsiva e analitica. Vivere poeticamente significa avere per molla motrice non tanto la riflessione quanto la rapida spinta dell’amore. S. Francesco è quindi – nel libro di Chesterton – un amante, nel vero senso, nel più alto senso della parola. Donde ancora la sfida a tutte le compassate e opprimenti leggi del senso comune, e la creazione continua d’un’originalità individualissima, che sembra ed è follia; (…) Francesco è un novatore; profittando della completa vittoria sulla natura, o meglio sul naturalismo che sconsacra e quindi deprava la natura, egli riannoda, dopo secoli di lotta, di penitenze, di ascetiche e talvolta manichee macerazioni, vincoli di pace con la creazione. (…) Con questo non si può però dire che all’Autore sfugga il carattere penitenziale di S. Francesco. Egli vi consacra un altro concetto fondamentale del suo lavoro. S. Francesco è colui che conduce lo spirito cristiano dall’adorazione di Cristo, all’imitazione di Cristo”.
Lunga citazione, è vero. Ma non poteva esserci, credo, modo migliore di questo, per commentare la biografia “San Francesco di Assisi” , scritta nel 1923, dallo scrittore inglese G.K. Chesterton, l’inventore del personaggio padre Brown, per intenderci. Lo scritto critico-letterario citato è di un “certo” Giovan Battista Montini, il futuro Papa Paolo VI, che nel 1926 – dunque tre anni dopo la pubblicazione – scrisse queste precise parole per la rivista Studium, come commento al libro dello scrittore inglese.
“Quando era stanco di parlare con gli uomini andava nei prati e nei boschi e scendeva nelle valli, perché nelle sorgenti e nei venti e nel canto degli uccelli percepiva il dolce, potente linguaggio del paradiso”. Quello che colpisce di più nel piccolo libro di Hermann Hesse sulla vita di San Francesco, scritta nel 1904 a soli 22 anni, è il fatto che l’autore, veda in tutti noi – in una certa misura – la non troppo remota “possibilità” di essere imitatori del santo d’Assisi. La voce di Dio, come parlava al Poverello, così parla a noi. Questo, in estrema sintesi, il punto di forza del racconto di Hesse che, a sua volta, pur essendo stato scritto ad inizio secolo sembra ancora parlare a noi, Uomini del 2000.
In chiusura – seppur l’argomento aprirebbe a infinite possibilità – ritorniamo in Italia e agli ultimi anni della produzione letteraria a riguardo. Le mura del cielo, di Ferruccio Ulivi. Il titolo è del 1981. Volgendosi a Francesco d’Assisi, alla sua avventura umana e sovrumana, Ulivi entra nella dimensione del sacro. Ma facendo ciò non “cade” – per l’aspetto letterario – all’agiografia, che potrebbe fermare – non si può nascondere – la narrativa, che vive di vita “autonoma”, diciamo così.
Un critico gesuita, come Ferdinando Castelli, ci illustra così l’opera narrativa di Ulivi: “La vicenda storica serve da base per avventurarsi alla ricerca dell’anima profonda del protagonista: dei suoi tormenti interiori, della sua passione di fondo, del suo itinerario di fuoco. Dunque, non biografia romanzata, tanto meno racconto "edificante" sulla scia dei Fioretti”. E allora “Le mura del cielo” diventano uno “sforzo di cogliere il segreto di una lotta misteriosa e drammatica”.
Francesco, infatti, nel racconto “combatterà” addirittura con Dio, che lo bracca senza tregua. E’ un “gioco” di conquista, come l’Amato e l’Amata, che tanto ricorda “Il Cantico dei Cantici di Salomone”. Lottando con l’Invisibile, il Poverello insegue la verità, il modello dell’amore di Cristo e una radicale libertà interiore che gli permetta, infine, di scalare le mura del cielo. Valido ancora oggi, se non di più, ciò che lo scrittore e saggista Ulivi ci vuole “insegnare” : ognuno di noi, se vuole sollevarsi da terra, non può esimersi dal combattimento spirituale.
Antonio Tarallo
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