VII OPERA DI MISERICORDIA CORPORALE, SEPPELLIRE I DEFUNTI
di Don Felice Accrocca
Il Catechismo della Chiesa Cattolica insegna che “i corpi dei defunti devono essere trattati con rispetto e carità nella fede e nella speranza della risurrezione” (num. 2300). Un’attenzione e una cura che affondano le loro radici nel tempo, in quanto già l’Antico Testamento qualificava la mancata sepoltura come un segno di disprezzo e di maledizione, al punto che su Gezabele, moglie di Roboamo, macchiatasi del sangue di molti giusti, fu pronunziato un terribile oracolo: sarebbe stata divorata dai cani né si sarebbe trovato alcuno pronto a seppellirne le spoglie (2Re 9,10).
Al contrario, la cura dei cadaveri è considerata un’opera lodevole. Significativa è la storia di Tobi, da lui stesso riferita in forma autobiografica; egli seppelliva gli israeliti morti al tempo di Salmanàssar e quelli che erano stati uccisi da Sennàcherib. Denunciato a motivo di ciò, Tobi pagò cara quest’opera di misericordia, poiché i suoi beni furono confiscati e passarono al tesoro del re (Tb 1,16-20). Anche il corpo ormai senza vita di Gesù beneficiò di cure, grazie a Giuseppe d’Arimatea e a quelle donne che lo trattarono con oli aromatici.
Il patrimonio della tradizione cristiana è transitato nel francescanesimo: la consapevolezza che “sora nostra morte corporale” spalanca le porte dell’eternità non accantona infatti la cura del corpo, destinato alla risurrezione. Salimbene da Parma, cronista francescano del Duecento, riferisce come ci fu chi si prese cura del corpo esanime di Francesco. Scrive infatti: “Mi ha raccontato frate Leone, che era suo compagno ed era presente, che quando si stava lavando il suo corpo per la sepoltura, sembrava veramente come un crocifisso deposto dalla croce”.
Sempre secondo il Parmense, il cui racconto non manca spesso di parzialità, Innocenzo IV, una volta morto, fu abbandonato da tutti, non però da due frati tedeschi che per lungo tempo erano stati impediti dai portinai di incontrarlo. Furono proprio loro a lavarne il corpo. E non solo i potenti beneficiarono di tale misericordia da parte dei frati, ma anche altri caduti in disgrazia: è ancora Salimbene a farci sapere che nel 1247 furono dei frati che, con notevole coraggio e con gesto di cristiana pietà, fuori di Cremona seppellirono i corpi dei cavalieri marchigiani fatti impiccare da Federico II, riuscendo con fatica a sottrarli ai lupi che volevano divorarli.
Una cura misericordiosa, un rispetto, che trae forza da una consapevolezza di fede: Cristo, infatti, “trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso” (Fil 3,21).
Don Felice Accrocca
Storico del francescanesimo
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