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Spadaro: Energia più saggezza uguale Sinodo

di Antonio Tarallo
Credit Foto - Famiglia Cristiana

Il primo appello del Papa all’apertura del Sinodo sui giovani è stato a mettere in moto la nostra capacità di «sognare e sperare». Ma non lo ha detto ai giovani: lo ha chiesto ai pastori e a tutta la Chiesa. Per Francesco il giovane è un profeta, ma può davvero profetizzare solo ascoltando i sogni di un vecchio. 



La sfida del Sinodo è per tutta la Chiesa, alleando la saggezza dei vecchi e l’energia dei giovani. Una cosa sta emergendo con chiarezza: salta per aria l’atteggiamento che porta a mettere la Chiesa da una parte e i giovani dall’altra. L’una che dà e gli altri che ricevono. Salta forse pure una certa «pastorale giovanile».


Anzi qui l’appello è che siano proprio i giovani a mettersi al lavoro per restituire alla Chiesa quell’istinto di felicità e pienezza che la rende inquieta e aperta. La Chiesa ha dunque da imparare dalle inquietudini dei giovani, che siano essi dentro o fuori dalla Chiesa. La loro inquietudine può essere luogo di grazia per la vita del mondo. Già Paolo VI lo aveva detto con chiarezza: «C’è un’intima connessione, cari giovani, tra la vostra fede e la vostra vita. Proprio nell’insoddisfazione che vi tormenta, nella vostra critica di quella società… c’è un elemento di luce» (2 dicembre 1970).


Per questo Francesco annunciando il Sinodo aveva scritto ai giovani facendo eco al suo santo predecessore: «La Chiesa desidera mettersi in ascolto della vostra voce, della vostra sensibilità, della vostra fede; perfino dei vostri dubbi e delle vostre critiche» (13 gennaio 2017). Questo muove il Sinodo: l’intuizione che un giovane porta nella Chiesa una voce profetica della quale oggi c’è disperatamente bisogno. La profezia dei giovani è un appello rivolto alla Chiesa intera. In un mondo in cui gli adulti scimmiottano i giovani e sono in competizione con i figli (se li hanno); in un mondo che sembra essersi trasformato in un labirinto di muri; in una Chiesa dentro la quale c’è chi avvelena i pozzi d’acqua con montature politiche e chi sogna un esercito di militanti ideologici «duri e puri»…


In questo mondo e in questa Chiesa, il Sinodo ci parla ancora di un’umanità alla ricerca di pienezza, che spera ancora, umilmente, nella promessa del futuro. Questo Sinodo si sta rivelando un evento necessario. Ma soprattutto emerge con forza un metodo tanto teologico quanto politico: prima di interpretare o fare delle scelte bisogna ascoltare, bisogna riconoscere la realtà. Nella prima settimana di incontri i padri sinodali, tutti insieme o in gruppi linguistici, hanno discusso di questo: della realtà che è sotto i loro occhi nei diversi continenti. L’esperienza e il confronto sono spiazzanti. Questo è in fondo un punto di forza unico della Chiesa: la sua voce è davvero universale.


E – caso più unico che raro – la sfida della diversità culturale porta a scoprire non solamente le differenze, ma soprattutto i desideri comuni. Il Sinodo si è trasformato in una grande antenna che intercetta i messaggi e fa da cassa di risonanza delle grandi sfide di oggi: migrazioni, sessualità, tecnologia, povertà... che sono accolte non con la freddezza dell’analista statistico, ma con lo sguardo caldo e il cuore inquieto del discepolo. In queste settimane sta emergendo nell’aula sinodale una «Chiesa empatica», come ha detto un vescovo, che è profezia della Chiesa del futuro.



Antonio Tarallo

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