VI OPERA DI MISERICORDIA CORPORALE, VISITARE I CARCERATI
di Stefano Brufani
Francesco d’Assisi fece l’esperienza del carcere prima della sua conversione alla vita religiosa, quando, come cittadino d’Assisi, dove in quegli anni avevano prevalso gli uomini nuovi del popolo, partecipò alla guerra tra la sua città e Perugia, dove si erano rifugiati i nobili assisani fuorusciti. Nella battaglia di Collestrada fu catturato, forse nell’estate del 1202. Egli trascorse in carcere alcuni mesi, fino alla pacificazione nell’autunno del 1203.
In quel tempo e ancora per alcuni anni Francesco fu attratto con forza dagli ideali cavallereschi. Figlio di un ricco mercante ed egli stesso mercante, Francesco viveva degli ideali cortesi e ambiva a divenire cavaliere. In carcere Francesco è gioioso e per questo giudicato stravagante, se non pazzo. Tommaso da Celano attribuisce quella gioia al fatto che Francesco avrebbe ‘profetizzato’ la sua futura santità. La pazienza verso un cavaliere superbo dal carattere insopportabile gli permise di ristabilire la pace e l’armonia tra tutti i prigionieri (Memoriale 584).
La detenzione nel carcere dovette segnarlo in profondità, forse più della profezia della ‘santità’. Infatti Tommaso da Celano in una frase che sembra di puro passaggio da un capitolo all’altro nota un particolare interessante: «Fu liberato dalla prigione poco tempo dopo e divenne più compassionevole con i bisognosi. Propose anzi di non respingere nessun povero, chiunque fosse e gli chiedesse per amore di Dio» (Memoriale 585). Nel carcere Francesco aveva provato compassione, a soffrire insieme agli altri e questa esperienza si era trasformata in attenzione e rispetto verso i bisognosi.
In carcere era finito per i suoi sogni di gloria, per divenire un miles. Un paio d’anni dopo, incoraggiato dal sogno di un palazzo pieno d’armi (FF 586), ritentò, dirigendosi verso la Puglia per aggregarsi a un nobile, ma a Spoleto ebbe un ripensamento, indotto da una rivelazione divina ritornò in Assisi (FF 587).
Allora maturò la sua conversione e, come ricorda nel Testamento, il Signore gli diede la grazia «di incominciare a fare penitenza […], a fare misericordia con i lebbrosi» (Test 110). Tommaso trasforma in scena il ricordo di Francesco e narra l’episodio dell’incontro e del bacio di un lebbroso (FF 591-592). Nel quadro interpretativo del Memoriale la compassione verso i bisognosi e i poveri era l’esito della naturale bontà umana di Francesco, una premessa rispetto alla misericordia vissuta nel pieno coinvolgimento di vita tra i lebbrosi. Dopo Perugia, dopo Spoleto Francesco si apre all’ispirazione del Signore e comprese che era chiamato a un atto di vera ‘pazzia’, a capovolgere quelle categorie culturali e sociali alle quali aveva orientato la sua vita, e stette un poco e uscì dal secolo (cfr. Testamento, 110). Nella dura prova del carcere, dove fu portato a forza, Francesco imparò ad accorgersi degli altri, a patire con loro, per poi essere invitato in libertà da Dio a dare il cuore ai miseri, misericordia.
Stefano Brufani
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