Cappuccio tondo o a punta? Viaggio tra i ritratti del Santo
di Chiara Frugoni
Non possediamo alcun ritratto di Francesco che ci permetta di risalire alla sua fisionomia. Tommaso da Celano, il primo biografo ufficiale, si soffermò in una descrizione accuratissima, ma per dare lustro al fondatore appena canonizzato, pensò bene di copiare da un augusto modello, il ritratto di san Bernardo di Chiaravalle. Francesco si descrive «piccolo di statura e di carnagione scura»: piccolo lo era davvero, come mostra il suo scheletro. Il ritratto su tavola di Cimabue è forse l’unico tentativo di trasmettere tratti realistici, sul piano umano, di commuovente bruttezza e malinconia. L’eccezionale parata di tavole con la figura del santo e storie e miracoli della sua vita o della sua figura stante che L’arte di Francesco permette di ammirare con una ampiezza di esempi straordinaria, offre un Francesco dal volto sempre diverso, ma costantemente ascetico, riflesso di un’austera e intensa spiritualità.
Le tavole si rivolgono ai devoti per suscitare rispetto e ammirazione, trascurando del tutto quello che a noi sembra oggi imprescindibile in un ritratto, la rassomiglianza. Francesco, nella sua vita, formulò un progetto di vita cristiana in apparenza molto semplice: applicare alla lettera il Vangelo. Volle condividere la precarietà psicologica e materiale dei diseredati, povero fra poveri, senza un tetto in muratura, senza la sicurezza del cibo per il giorno dopo, senza libri, portando però ovunque il messaggio di amore e di pace di Cristo. I primi compagni lo seguirono, ma ben presto nacquero i dissensi: i frati volevano studiare per ben predicare, avere residenze stabili e sicure, evitare il lavoro manuale.
All’inizio fu una comunità essenzialmente di laici, ben presto divenne una comunità di frati quasi tutti sacerdoti. San Bonaventura, che dovette affrontare un Ordine profondamente lacerato e diviso sul problema della fedeltà agli intendimenti di Francesco, prima di tutto la radicale povertà, esaltando nella sua biografia, approvata nel 1266, il miracolo delle stimmate, fece di Francesco il fondatore dalla santità inimitabile, suggerendo in alternativa ai frati di seguire modelli di santi francescani accessibili, come ad esempio sant’Antonio da Padova, santo coltissimo e grande predicatore. Le tavole radunate dalla mostra per mettono di osservare i tanti volti di Francesco che la dirigenza dell’Ordine via via propose.
La Tavola Bardi ad esempio, attribuita a Coppo di Marcovaldo, dipinta prima della «normalizzazione» di Bonaventura, mostra episodi mai più riproposti: la cura dei lebbrosi, il disprezzo del denaro, il rispetto per i musulmani, l’esaltazione della povertà. La tavola proveniente da Pisa mostra invece la preoccupazione di diffondere il culto di Francesco che addirittura si vendica (cosa avrebbe detto il vero Francesco?) del fatto che una donna non avesse rispettato la festa del santo continuando a lavorare, paralizzando la sua innocente figliola. La tavola, bellissima, del Maestro di San Francesco proveniente da Santa Maria degli Angeli, attraverso cartigli e scritte, riecheggia il contenuto di una bolla del 1255 di Alessandro IV sulla veridicità delle stimmate e forse per la prima volta mostra la ferita al costato di Francesco, visibile per il saio squarciato.
Gregorio IX non parlò delle stimmate nella bolla di canonizzazione di Francesco e Bonaventura confessò la ragione delle perplessità del pontefice: la ferita al petto creava difficoltà a Gregorio IX: fu soltanto il colpo di lancia – dice Giovanni nel suo Vangelo (19,37) – ad «adempiere» le Scritture rivelando nell’uomo crocifisso il Messia. Accostare direttamente Francesco a Cristo sembrò a lungo blasfemo. Secondo Bonaventura i dubbi del papa si risolsero rapidamente. Nella realtà dovettero passare circa dieci anni prima che Gregorio IX mostrasse il convincimento raggiunto in documenti ufficiali. La tavola di Orte è di nuovo dedicata al miracolo delle stimmate, la cui veridicità fu a lungo dibattuta anche con autorevoli interventi dei pontefici. Va segnalata in questo contesto di difesa delle stimmate la tavola proveniente da Bitonto, una grande novità, perché era stata completamente ridipinta nel Seicento e solo un restauro l’ha riportata in vita: attende ancora l’ampio studio che merita. La tavola di Orte s’impegna anche a difendere l’ortodossia di Francesco, falsamente accusato da un eretico.
La Chiesa proibiva ai laici di predicare il Vangelo, per il pericolo che si diffondessero errori dottrinali. Francesco né monaco né sacerdote, poteva essere facilmente accusato di essere lui stesso un eretico. Le icone di Margaritone d’Arezzo di cui la mostra offre numerosi esemplari, permettono di segnalare una particolarità. In molte la punta del cappuccio è stata recuperata solo da un attento restauro (Si veda ad esempio la tavola proveniente da Castiglion Fiorentino dove si intravvede più chiara, rispetto al fondo, la punta del cappuccio, a sinistra per chi guarda). Uno degli argomenti delle accesissime dispute era divenuta infatti la forma del cappuccio indossato davvero da Francesco. Il cappuccio a punta significava ricordare il valore simbolico della veste francescana dato che cappuccio e tonaca evocano la croce. Il cappuccio a punta voleva dire mantenersi fedeli alle origini, alla scelta di vita di Francesco.
Nel corso del XIV secolo si produsse un graduale addolcimento della vita dei frati, visibile anche nella foggia dell’abito, con più stoffa, e nella forma del cappuccio che si fece più gonfio intorno al collo. Per i fautori della più rigorosa povertà il cappuccio «tondo» alludeva alla volontà di modificare il primitivo progetto del santo, confermato dall’abito con tante pieghe e più ricercato. I frati favorevoli al cappuccio «tondo», consapevoli del suo significato, intervennero allora sulle tavole, ritagliando deliberatamente la punta del cappuccio. Anche un particolare dell’abbigliamento, apparentemente minuscolo, contribuì a mutare il volto di Francesco e la sua proposta di vita. Potenza delle immagini! (Sole 24Ore)
Chiara Frugoni
Prof.ssa di Storia Medievale
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