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Francesco e le donne. O, meglio, Francesco e la donna

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di Felice Accrocca

Francesco e le donne. O, meglio, Francesco e la donna. Se n'è scritto e riscritto, tutto e il contrario di tutto, ma non sempre s'è contribuito a fare chiarezza, finendo a volte per esagerare le proprie posizioni.

L'argomento ritorna peraltro di attualità dopo che papa Francesco ha rimarcato a più riprese quanto importante sia il ministero della donna nella società e nella Chiesa.

Quale atteggiamento Francesco assunse? Fu davvero il fondatore del secondo Ordine, come da sempre si può dire che s'afferma a viva voce? O fu invece sospettoso e distante verso ogni forma di vita religiosa femminile, come s'è spesso ripetuto, soprattutto negli ultimi anni? La fondazione del Secondo Ordine, in realtà, si deve in gran parte al cardinale Ugo di Ostia/Gregorio IX e ai suoi successori; ma neppure l'immagine di un Francesco misogino appare veritiera. Certo egli fu uomo del suo tempo e condivise la preoccupazione già viva nell'ambiente ecclesiastico che i contatti con il mondo femminile, inevitabili per i frati, non degenerassero. In tal senso, illuminanti si rivelano le disposizioni presenti già nel capitolo XII della Regola non bollata.

Ben altro invece il rapporto che intrattenne con Chiara e la comunità di S. Damiano. E che tale rapporto è indipendentemente dal fatto che Francesco non nomini mai Chiara negli scritti che di lui ci sono rimasti sia stato effettivo e intenso, lo mostra che senza tener conto di alcuni fatti testimoniati dalle fonti, sulla cui consistenza storica mi pare arduo dubitare che il testo dell'Audite poverelle, indirizzato alla comunità di S. Damiano e composto da Francesco negli stessi giorni in cui, soggiornando malato presso quella comunità, egli compose il Cantico di frate Sole. Né si può dubitare dell'autenticità della “forma di vita” che il Santo scrisse per le sorelle di S. Damiano e Chiara trascrisse nel capitolo VI della sua Regola.

Oltre questo singolare rapporto, però, a noi interessa capire in qual modo Francesco si pose di fronte alla donna. Il suo atteggiamento, come s'è detto, fu ispirato a prudenza, anche se mostrò grande fiducia nei confronti di Jacopa dei Settesogli e della romana Prassede, la quale è secondo quanto afferma Tommaso da Celano nel Trattato dei miracoli fu da lui stesso accolta all'obbedienza. Quel che è importante, però, è che egli non istituì gerarchie di merito a partire dal sesso, e neppure dallo stato di vita: egli non credeva affatto che, per sua natura, un uomo fosse a motivo del proprio sesso, migliore di una donna o un sacerdote  al quale bisognava sempre portare obbedienza e rispetto, a motivo del suo Ordine è migliore di un laico; per lui quel che contava veramente, quel che era sommamente importante, era il “fare penitenza”, cioè il convertirsi sul serio, perché non c'era altro modo per potersi salvare.

È quanto grida a piena voce in quello straordinario rendimento di grazie che è il capitolo XXIII della Regola non bollata: “E tutti coloro che vogliono servire al Signore Iddio nella santa Chiesa cattolica e apostolica, e tutti gli ordini ecclesiastici, sacerdoti, diaconi, suddiaconi, accoliti, esorcisti, lettori, ostiari, e tutti i chierici, tutti i religiosi e tutte le religiose, tutti i fanciulli e i piccoli, i poveri e gli indigenti, i re e i principi, i lavoratori e i contadini, i servi e i padroni, tutte le vergini e le continenti e le maritate, i laici, uomini e donne, tutti i bambini, gli adolescenti, i giovani e i vecchi, i sani e gli ammalati, tutti i piccoli e i grandi e tutti i popoli, genti, tribù e lingue, tutte le nazioni e tutti gli uomini d'ogni parte della terra, che sono e che saranno, noi tutti frati minori, servi inutili, umilmente preghiamo e supplichiamo perché tutti perseveriamo nella vera fede e nella penitenza, poiché nessuno può salvarsi in altro modo”.

Perché quanti si convertono a Cristo si rivestono di Cristo (cf. Gal 3,27); sicché “non c'è più giudeo né greco; non c'è più schiavo né libero; non c'è più uomo né donna”, poiché tutti siamo “uno in Cristo Gesù” (Gal 3,28). E davanti a Lui non è la circoncisione che conta, né la non circoncisione, ma “l'essere nuova creatura” (Gal 6,15).


Felice Accrocca

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