Fraternità in Capitolo. Breve storia di cosa è il Capitolo Conventuale, da dove nasce e perché
di Felice Accrocca
Il francescanesimo ereditò l’istituzione del Capitolo, cioè dell’incontro periodico dei frati per discutere di questioni inerenti la loro vita e prendere decisioni in merito, dal mondo monastico: all’inizio del XIII a fare scuola era soprattutto il monachesimo cistercense, che aveva istituzionalizzato il Capitolo già nella Charta caritatis del 1119.
Come sappiamo, Innocenzo III si limitò a un’approvazione orale del proposito di vita presentato a lui da Francesco, senza rilasciare alcun documento scritto; negli anni successivi i frati arricchirono in maniera progressiva quel primo testo. Giacomo da Vitry ci ha trasmesso, in proposito, una testimonianza preziosa: “Gli uomini di questa «religione» – scrisse nel 1216 – con notevole vantaggio convengono una volta l’anno nel luogo stabilito per rallegrarsi nel Signore e mangiare insieme. Qui, avvalendosi del consiglio di persone esperte, formulano e promulgano le loro leggi sante e confermate dal signor papa”. Cosa accadeva, in realtà? I frati esaminavano progressivamente i problemi incontrati nel corso della loro itineranza e fissavano per iscritto alcune norme fondamentali. Di anno in anno sottoponevano quelle stesse norme a revisione, integrando, ritoccando, correggendo il dettato precedentemente fissato.
Ben presto questi Capitoli furono istituzionalizzati con una cadenza periodica; nella cosiddetta Regola non bollata (1221) s’introdusse la differenziazione tra Capitolo provinciale e generale; si disse infatti che ogni ministro poteva riunirsi con i suoi frati, “nella festa di san Michele arcangelo, per trattare delle cose che riguardano Dio”. Inoltre, i ministri fuori d’Italia erano invitati “una volta ogni tre anni” e quelli in Italia “una volta all’anno”, al Capitolo di Pentecoste, a meno che il ministro generale non avesse “ordinato diversamente”: all’inizio, quindi, il Capitolo generale si teneva ogni anno, anche se ai ministri fuori d’Italia era richiesta la presenza solo ogni triennio; ai Capitoli provinciali, invece, erano invitati tutti i frati della singola provincia. Nella Regola bollata (1223) la celebrazione del Capitolo generale fu fissata con cadenza triennale, “o entro un termine maggiore o minore” a giudizio del ministro generale. Qualora l’avessero ritenuto “opportuno”, dopo il Capitolo di Pentecoste “i singoli ministri e custodi” avrebbero potuto “convocare una volta i loro frati a capitolo”.
I Capitoli provinciali si tennero con una certa regolarità: così almeno in Germania, dove – come sappiamo dalla Cronaca di Giordano da Giano – sembrò perdurare per un certo tempo la consuetudine del capitolo annuale. Anche i Capitoli generali furono celebrati regolarmente, tranne la breve parentesi del generalato di Elia, che non convocò capitoli se non quello del 1239, al termine del quale lo stesso Elia fu deposto. Pian piano, sempre in continuità con una lunga tradizione (la Regola di san Benedetto prevedeva incontri assembleari nei singoli monasteri), si venne introducendo anche il Capitolo conventuale, molto più frequente che non le assemblee provinciali o generali: ogni comunità si riuniva per condividere momenti di riflessione spirituale e assumere decisioni atte a regolare la vita interna.
Il Capitolo è anzitutto un’esperienza di fraternità, dove storie diverse s’incontrano; esso è anche la forma più alta di governo nell’Ordine: un governo collegiale nel quale i singoli debbono ricercare anzitutto il bene comune, condizione necessaria, questa, per evitare i rischi opposti dell’autoritarismo e della confusione.
Felice Accrocca
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