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San Francesco e l’origine del 'pace e bene'

di Antonio Tarallo
Credit Foto - Roberto Pacilio

Il saluto è tutto, si sa. Due persone si incontrano per strada, o in una casa, oppure dove meglio credete. Se non sono occupate con smartphone o altra tecnologia, di solito, il rito che si ripete – il primo rito – è quello del salutare la persona di fronte. E l’altro, dovrebbe, ricambiare il saluto. Così almeno ci hanno educato, da sempre. Ora che il viaggio sull’“onda” del termine “pace” continua, non poteva che venire alla mente il saluto che da tempo “contraddistingue” la Famiglia francescana, di qualsiasi “condizione” e “grado”, diciamo pure così. Lo conosciamo bene quel saluto, che solo al sentirlo, produce in ognuno – in fondo – la stessa condizione augurata, appunto, nel saluto: “pace e bene”, o se si vuole essere legati all’idioma latino, “pax et bonum”.


Il saluto. Cominciamo a sfatare una sorta di “mito”, se vogliamo. Nella formula così come abbiamo ormai imparato a conoscerla, il famoso “pace e bene” francescano, non è presente in alcun scritto dello stesso San Francesco. Se volessimo soffermarci principalmente sugli scritti del poverello di Assisi, in merito a tale termine, troveremmo solo alcune precise “occasioni” in cui tale parola compare.  Prima fra tutte, per importanza spirituale, nel suo testamento, del 1226: “Il Signore mi rivelò che dicessi questo saluto: Il Signore ti dia pace”. Il sostantivo, presente in altri scritti come la “Lettera ai Custodi” del 1220, e nelle “Ammonizioni” del 1221, così come nella sua “Lettera ai fedeli” del 1224, trova – oserei dire –pienezza vera e propria, e nello stesso tempo, la sua semplicità che molto ricorda il motto più famoso del “pax et bonum”, nella “Regola non bollata” (1221) quando ammonisce i frati con l’esortazione “In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa”.


San Francesco non poteva che suggerire tale saluto ai suoi “compagni di viaggio”, sposando nei “fatti” e nelle “parole” il modello perseguito nella sua vita, cioè quel Cristo che più volte – nel Vangelo – ha fra le labbra la parola “pace”.  Prendiamo, come esempio, due situazioni. Il primo, il Vangelo secondo Luca, capitolo 10, 5: “In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa”. Ma anche il Vangelo di Giovanni (cap.20, 19-31) ne fa chiaro riferimento: “La sera del primo giorno della settimana, mentre le porte dove si trovavano i discepoli erano state chiuse per paura dei dirigenti giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”. Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono nel vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me io mando voi”.



La Leggenda dei Tre compagni. Ma ritorniamo al nostro Padre Serafico Francesco. Nella “Leggenda dei tre compagni”, redatta da Angelo, Leone e Rufino – la più importante delle biografie non ufficiali di Francesco, cioè delle Vite del Santo non scritte su commissione e dietro controllo papale o della classe dirigente dell'Ordine francescano – troviamo descritto un particolare episodio, così descritto:

“Com'egli stesso ebbe a confidare più tardi, aveva appreso da rivelazione divina questo saluto: “ Il Signore ti dia pace! ”. All'inizio delle sue prediche, offriva al popolo questo messaggio di pace. Fatto straordinario, che ha del miracoloso: egli aveva avuto, prima della conversione, un precursore nell'annunzio di pace, il quale percorreva di frequente Assisi salutando col motto: “Pace e bene! pace e bene!”. Si formò poi la convinzione che, come Giovanni il Precursore si tirò in disparte appena Gesù cominciò la sua missione, così anche quell'uomo, simile a un secondo Giovanni, precedette Francesco nell'augurio di pace, e scomparve dopo l'arrivo del Santo. L'uomo di Dio, Francesco, animato dallo spirito dei profeti e seguendo il loro linguaggio, come echeggiando il suo precursore, annunziava la pace e predicava la salvezza. Moltissimi, persuasi della sua parola, si riconciliavano in sincera concordia, mentre prima erano vissuti ostili a Cristo e lontani dalla salvezza”.


Dunque, solo in questo passaggio letterario-spirituale che fa riferimento alla vita di Francesco, troviamo il famigerato “pace e bene” che tanto bene racchiude, con stile semplice ed efficace, l’intera “concezione” della bellezza dell’essere parte della famiglia francescana. Famiglia, che fin dal suo sorgere, ha sempre promosso valori, appunto, come la “pace” e la solidarietà che non possono che portare, dunque, anche il “bene”, inteso – in fondo – in molteplici aspetti che, se ci pensiamo bene, non sono legati solamente all’aspetto “spirituale”.

Certo, questo prima fra tutti. Ma non solo. Un bene sì dell’anima, una luce di benessere che dà luce alla esistenza umana, ma che quando questo accade, come fa il sole che sprigiona i propri raggi intorno, riesce a portare “benessere” all’intera famiglia umana, grazie a uno sviluppo solidale che passa – ovviamente – per la “pace”. In poche parole, difficilmente potremmo slegare i due termini, perché sono contingenti e conseguenziali allo stesso tempo.



Antonio Tarallo

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