SAN FRANCESCO E LA RICCHEZZA NELL'ECONOMIA FRANCESCANA
Dopo Francesco, per i successori fu fondamentale analizzare il proprio concetto di “economia”, l’uso del denaro, e della proprietà.
di Marco Iuffrida
Durante il Medioevo sono molteplici e complesse le novità che si innescano, come la concezione stessa dell’Europa e dei suoi valori fondanti. Francesco d’Assisi visse nel pieno di questa rivoluzione economica e sociale, nascendo in una di quelle tante famiglie emergenti di mercanti. La crescita dei consumi, sollecitata dai prodotti che venivano offerti, induceva ad un maggiore fabbisogno monetario. Le classi medio-alte dei cittadini ne ebbero grande vantaggio, ma le problematiche dei meno abbienti diventavano più vistose. Il processo d’inurbamento portò i poveri a gravitare attorno alle città, divenute centri assoluti d’interesse. Si diffusero le banche, ma con esse l’usura. Per i poveri il credito usuraio crebbe in modo asfissiante, e i tassi di interesse per i prestiti arrivarono fino al 50%.
Dopo Francesco, per i successori fu fondamentale analizzare il proprio concetto di “economia”, l’uso del denaro, e della proprietà. Sia il prestito ad interesse sia il credito usuraio miravano a scardinare la visione di una società fondata sul modo di vivere che i frati promuovevano. Per la tradizionale dottrina ecclesiastica e poi, in modo speciale, per i frati francescani dell’epoca la professione del commerciante e quella del banchiere presentavano grossi difetti di etica: queste attività, a differenza di altre, nel loro operato apparivano più esposte al rischio di non apportare un effettivo contributo alla comunità.
La nozione di “comunità” per il pensiero francescano medievale non riguarda la persona presa nella sua singolarità, ma in relazione essenziale con l’altro. È comune ciò che non è solo proprio, perché è tale il bene privato. L’immagine ideale di tale comunione è data dal celebre passo degli Atti degli Apostoli: «La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune» (4, 32).
Fondamento del pensiero economico francescano medievale è il “volontarismo”, il principio secondo cui è la volontà a dirigere la ragione nelle transazioni economiche. Muovendo da Sant’Agostino, il volontarismo francescano passa per Anselmo d’Aosta (1033/1034-1109), Enrico di Gand (ca. 1217-1293), Duns Scoto (1265-1308), fino a Ockham (1288-1349) che costituisce il punto di arrivo di tale corrente di pensiero. Nell’ambito dell’analisi sulle attività commerciali l’attenzione degli “economisti” francescani si concentrò sul “giusto prezzo” da attribuire alle cose. Grazie al frate Bernardino da Siena (1380-1444), le teorie sul giusto prezzo coinvolsero il movimento dell’Osservanza che si propose di ristabilire criteri di povertà rigorosa all’interno dell’Ordine e di riformare contemporaneamente l’organizzazione economica delle città. Dai suoi scritti si evince un interesse vivace per le questioni concrete della vita che lo circondava. Ciò che contraddistingue Bernardino è la capacità di fondere tutti gli elementi della concezione economica francescana in una visione della vita innovativa. Una visione che esce, dunque, dalla comunità dei frati per rivolgersi alla comunità cittadina. Bernardino attribuisce valore enorme alla ricchezza, alla proprietà: quando la si usa a fin di bene, deve essere considerata un bene di Dio. La condanna scatterà quando essa verrà accumulata in contrasto con la logica della comunità. Un’etica lontana, ma attuale, e non ancora compresa dalla politica che dilaga nell’Europa del XXI secolo.
Marco Iuffrida
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