Settimana Santa: Frate Francesco e le tortore selvatiche
Ovvero il racconto di come la Pace principiò a camminare sulle gambe dei seguaci di Francesco
Menico di Armenzano aveva un nipote di nome Sabbatino, familiarmente nomato Batino. Il ragazzo era molto abile nell’attività venatoria: riusciva a catturare uccelli selvatici e leprotti che poi andava a vendere al mercato di Assisio. Batino si posizionava vicino alla Torre del Capitano del Popolo, là dove sono inserite nel muro le misure ad uso dei mercanti e quando i contraenti di una vendita si avvicinavano per ponderare le loro mercanzie e concludere un buon affare, dovendo passare vicino alle sue gabbiette, inevitabilmente si ingolosivano di quelle carni succulente! … e Batino tornava a casa sempre con le gabbiette vuote! Un giorno, mentre si recava come al solito al mercato portando tre coppie di tortore selvatiche, fu fermato da un pastore che gli sembrò essere Arnaldo della Costa. “Dove vai bravo giovine con tutte queste tortorelle?” “Al mercato messere, vado a venderle al mercato di Assisio!” Rispose Batino.
“Perché, invece, non le porti al Convento di Frate Francesco, giù nella piana, vicino alla chiesetta della Porziuncola?!” Propose inaspettatamente il pastore. “… e perché dovrei andare a regalarle a Francesco?” “Potresti dirgli che è un regalo di Menico, tuo nonno e suo amico! E poi faresti un gran bel gesto di fraternità nel portare del cibo a quei fraticelli così poveri … non credo che riescano a mangiare qualcosa di più di un po’ di pane e qualche legume!” Batino rimase, per un attimo, disorientato. L’idea, però, di far fare un gran bella figura a nonno Menico e l’attrattiva di condividere un gesto di solidarietà con quegli uomini dediti alla preghiera che si chiamavano tra loro fratelli … ebbene, tutto ciò lo appassionò! “Sì messere, andrò al Convento e regalerò loro queste tortorelle! Sarò, così, almeno in questo gesto un loro fratello.” Così dicendo Batino salutò il pastore e si diresse verso la piana dove scorgeva emergere dalla macchia la chiesetta della Porziuncola. Il falso pastore Arnaldo, appena Batino fu scomparso dietro una curva, riprese le sue vere sembianze: era l’Arcangelo Gabriele che, sorridendo felice, volò via portando con sé il segreto di questa inconsueta proposta.
Arrivato alla Porziuncola Batino fu accolto dai frati con grande letizia. Francesco accettò con gioia il regalo dell’amico Menico e subito palesò al ragazzo la sua intenzione: “Le sorelle tortore che ci hai portato, graditissimo dono del mio amico Menico, vivranno qui con noi e faremo per loro i nidi necessari acciocché possano figliare e, volando all’interno del Convento, glorificare Domine Iddio con i loro canti accorati! Il dono le ha salvate da sicura morte … allo spiedo!” Concluse con un contagioso sorriso. Da quel giorno i frati presero a nutricare le tortore come fossero galline del pollaio e gli uccelli rallegravano il Convento con i loro versi poetici e pieni di emozioni.
Qualche tempo dopo questi fatti, Francesco, mentre tornava verso il Convento, si fermò a pregare nel tugurio accanto alla capanna di Masaccio, un suo amico carrettiere. Masaccio, dopo averlo salutato, lo informò: “Francesco devo andare subito alla fonte per abbeverare il mio mulo, sfiancato dalla giornata di lavoro appena conclusa! … sarebbe tanto comodo usare questo torrentello qui vicino, ma purtroppo non porta mai acqua! Anzi, dicono gli antichi che quando l’acqua scorrerà nel Rivo Storto, così viene chiamato, questa evenienza sarà segno dell’inizio di una guerra o, comunque, segno di terribili calamità!” “Ahi, ahi, Masaccio non devi credere a queste dicerie. Le guerre, purtroppo, ci sono sempre in qualche parte del mondo … ogni giorno ci sono guerre nei posti più disparati! Quindi l’acqua sempre dovrebbe scorrere! Comunque, ti posso dire, io che cavaliere sono stato e la guerra l’ho purtroppo conosciuta, che, anche se il detto fosse vero, sarebbe molto meglio portare il mulo alla fonte, ancorché lontana, piuttosto che avere l’acqua dal Rivo Storto!” Masaccio lasciò Francesco e, preso il mulo per la cavezza, si diresse verso la lontana fonte. In quel mentre, l’Arcangelo Gabriele comparve davanti a Francesco che si accingeva a pregare. “Francesco, è giunto il momento che tu faccia un forte gesto simbolico, un gesto biblico simile a quello che segnò la fine del Diluvio Universale. Noè usò una colomba. L’uccello segnalò la ritrovata Alleanza tra Domine Iddio e la natura con un ramoscello d’ulivo. Le tortorelle che vivono nel tuo Convento saranno portatrici di Pace, simboleggeranno una Nuova Alleanza che segnerà la fine dei tanti conflitti che insanguinano la terra. Francesco dovrai lasciar volare via tutte le tue tortore verso i tanti conflitti in corso… saranno simboli viventi comunicatori di Pace!” Il Frate rimase un po’ in silenzio, pensieroso, e poi rispose: “Gabriele, conosco la tua vocazione ad annunciare la Buona Novella, ma … sono un po’ titubante che la Pace tra gli uomini in guerra possa esser annunciata o, addirittura, propiziata dalle mie tenere e dolci tortorelle! … comunque farò quello che mi chiedi… anche se mi costa molto sacrificio separarmi dalle dolci tortorelle!”
Francesco tornò al Convento e, tra lo sconcerto dei confratelli, radunò tutte le amabili creature. “Sorelle tortore vi mando nel mondo come messaggere di Pace! Andate e dove troverete guerre, dissidi, barbarie, saccheggi … portate un ramoscello d’ulivo come simbolo di Pace e di Fratellanza! Andate e che Domine Iddio vi accompagni e vi aiuti!” Le tortore presero a tubare e a volare in larghi cerchi concentrici all’interno del Chiostro: le loro voci risuonavano quasi cori di Angeli ma vi si percepiva anche un velo di tristezza per la missione che le avrebbe portate lontane dai loro nidi e dal Convento! Poi s’involarono in tutte le direzioni.
Francesco e i confratelli, pieni di speranze, tornarono alle loro vite di preghiere, di meditazioni e di predicazione.
Passarono i giorni, le settimane, i mesi … finché, un giorno, una tortora un po’ spennata e con le restanti piume arruffate arrivò sopra il Convento e si appollaiò sul tetto della cella di Francesco. “Sorella tortora, cosa ti è accaduto? – chiese il Frate con voce rotta dall’angoscia – Chi ti ha conciato così?” “Fratello, sono andata verso Nord, fino alla lontana contrada di Chelmno dove si confrontavano i cavalieri teutonici con l’esercito di Masovia. Ho tentato di bloccare i loro scontri, sono volata verso i contendenti con un ramoscello di ulivo nel becco: hanno preso a lanciarmi contro sassi, pugnali, lance e, con i bastoni, quando mi abbassavo per riprendere fiato … cercavano di colpirmi sulle ali! Finalmente sono riuscita a sfuggire a tutte queste violenze e, lentamente con le ridotte forze rimaste, sono tornata fin qui. In quel mentre comparve, con un aspetto straziante, un’altra tortora. L’uccello aveva le ali sporche di sangue e, con raccapriccio, si notava che era cieca da un occhio! “Francesco, Francesco, ero andata verso Est insieme con il mio compagno, fino al Regno di Volinia, dove gli eserciti dei Mongoli e dei Livoni si fronteggiavano terrificanti. Abbiamo provato a bloccare lo scontro, siamo volate tra le truppe. A quel punto è scoppiato l’inferno: gli arcieri ci hanno colpite con decine di frecce… il mio compagno è caduto cercando di farmi schermo … io, invece, sono riuscita a salvarmi e sono volata via, straziata e insanguinata! Sono qui, apparentemente viva, ma tragicamente ferita nel profondo della mia vita!” Altre e altre tortore, sporche e sanguinanti, arrivarono e tutte raccontavano analoghe tristi storie di aggressioni e di tentativi di annientamento delle miti portatrici di Pace!
Fu così che Francesco decise di rivolgersi ai confratelli: “Fratelli, a malincuore avevamo inviato le nostre tortorelle come messaggere di Pace a somiglianza della colomba inviata da Noè al termine del Diluvio Universale. Le tortore sono state martoriate. E’ giunto il tempo che noi stessi si vada là dove agiscono le forze del dissidio e della guerra per portare, con la nostra predicazione e il nostro esempio, un segno tangibile di riconciliazione e di Pace. Andate e predicate l’Evangelio e la Buona Novella.”
Quando Francesco ebbe terminata la sua predica molti frati partirono dal Convento alla volta di tutte le direzioni del mondo per predicare la Pace, la Fraternità e la Buona Novella. Frate Francesco entrò, allora, nella sua celletta. L’Arcangelo Gabriele lo aspettava seduto in un angolo, sulla pietra che il Frate usava come cuscino notturno. Gabriele appoggiava, malinconico, la testa sulle mani. Appena vide l’Arcangelo, Francesco lo coinvolse con queste riflessioni: “Gabriele, c’è necessità di Pace, ma la Buona Novella non può volare sulle ali delle tortore come tu speravi: deve camminare con le gambe dei miei confratelli … in tanti sono, infatti, già partiti in ogni direzione del mondo!” Gabriele si alzò e sorrise: “Francesco hai ragione, la Pace e la Buona Novella devono camminare sulle robuste gambe dei tuoi fratelli e non sulle poetiche ali delle dolci tortorelle! Lasciamole vivere e cantare felici qui, nel tuo Convento, dove potranno render gloria a Domine Iddio!”
Giorgio Bagnobianchi
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