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Mi sento abbandonato

di Enzo Fortunato



Caro Padre,
chi vi scrive è un detenuto dal carcere di Monteacuto, trasferito da Como. Questo spostamento mi ha creato un disagio fortissimo, ho tre figli e sono anche nonno. Ho pagato il reato più alto, ora vorrei solo tornare al carcere di Como per riuscire a vedere la mia famiglia. Ci sono momenti in cui mi sento abbandonato, anche da nostro Signore. Io prego molto, ma a volte lo sconforto è così forte che mi porta anche a pensare di farla finita, per non soffrire più e non far soffrire i miei cari. Vi chiedo scusa per questo sfogo e per questi pensieri, sarà sbagliato caro padre, ma mi sento veramente abbandonato.
Giuseppe C.


Carissimo Giuseppe,
intanto desidero assicurarti la mia, la nostra, preghiera sulla Tomba di san Francesco per il tuo cammino. A volte sembra che la sorte si accanisca contro di noi. Pensando alla tua situazione mi viene in mente una celebre parabola buddista che afferma: “Un uomo che camminava in un campo s'imbatté in una tigre. Si mise a correre, tallonato dalla tigre. Giunto a un precipizio, si afferrò alla radice di una vite selvatica e si lasciò penzolare oltre l'orlo. La tigre lo fiutava dall'alto. Tremando, l'uomo guardò giù dove, in fondo all'abisso, un'altra tigre aspettava per divorarlo. Soltanto la vite lo reggeva. Due topi, uno bianco e uno nero, cominciarono a rosicchiare pian piano la vite. L'uomo scorse accanto a sé una bellissima fragola. Afferrandosi alla vite con una mano sola, con l'altra spiccò la fragola. Com'era dolce!” Che vuole dire? Che anche nel pericolo o nella disperazione più atroce si può essere attratti dal fulgore della bellezza, della gioia, della speranza. Caro Giuseppe, c'è sempre una “fragola” gustosa che può conquistare, strappandoci dal gorgo dell'amarezza e dell'assurdo. Il tuo pensiero per la famiglia diventi quella dolce fragola, o teologicamente la speranza, che ti permette di andare avanti e di superare le difficoltà.
Un caro saluto di pace e bene


Enzo Fortunato

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