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Don Aldo Buonaiuto, 'Il Santo Natale degli ultimi'

Il dono più grande che l’umanità può augurarsi è non vedere mai più persone in vendita

di don Aldo Buonaiuto

I credenti traggono dal Santo Natale la linfa vitale e la gioia necessarie ad alimentare quotidianamente la loro fede. Se infatti il Salvatore viene al mondo in una mangiatoia, significa che ciascun essere umano è importante agli occhi di Dio. Lo scrittore Gianni Rodari, uno degli autori per bambini più amato da intere generazioni, diceva: ”Se ci diamo una mano, i miracoli si faranno e il giorno di Natale durerà tutto l’anno”.

Ma le festività natalizie sono anche l’occasione per bilanci esistenziali. E’ nei giorni nei quali le comunità si radunano e le famiglie si riuniscono che per contrasto gli ultimi avvertono maggiormente la loro condizione. Autorevoli indagini sociologiche documentano come, proprio in occasione delle ricorrenze più celebrate dalla collettività, salga in modo rilevante la percezione della solitudine e dell’alienazione nelle persone più fragili e isolate. E cioè, mentre la società si riunisce per festeggiare, gli ultimi si sentono abbandonati e confinati ai margini. Eppure il Santo Natale è anche, anzi soprattutto la loro festa. A Betlemme, Gesù nasce in una grotta e i primi a fargli visita sono umili pastori, cioè coloro che abitavano le periferie geografiche ed esistenziali dell’epoca. San Francesco di Assisi aveva colto provvidenzialmente e fissato per sempre nel presepe l’ispirazione originaria e più autentica del Santo Natale. Dobbiamo interrogarci sulle ragioni che in duemila anni di storia hanno progressivamente favorito l’infiltrazione delle motivazioni egoistiche e consumistiche in quella che è per definizione la celebrazione della solidarietà e dello spirito caritatevole.

Nella mia lunga esperienza di accoglienza e sostegno di persone rifiutate, escluse e marginalizzate dalla società, sperimento ogni Santo Natale quanto sia fondamentale porre spiritualmente e materialmente al centro della festa gli individui più indifesi e feriti. Don Oreste Benzi, l’infaticabile apostolo della carità, oggi Servo di Dio, ci ha insegnato a mettere la propria vita accanto a quella degli ultimi dando voce a chi non ha voce. E così dalle piccole creature da difendere sempre nel grembo materno, ai minori abbandonati o violati, ai nostri fratelli diversamente abili, agli anziani dimenticati e isolati, alle vittime delle sette, delle tante droghe, nuove e antiche ci troviamo ogni giorno ad accogliere in loro quel Gesù, piccolo e indifeso, anche Lui, bisognoso di cure, di amore.

Come non pensare in particolare le vittime della tratta a scopo di prostituzione coatta, con le quali condivido da tanti anni la mia esistenza, che nelle nostre case famiglia aiutiamo nella complessa opera di ricostruzione di un’esistenza finalmente libera non più assoggettata alle sopraffazioni e alle violenze indicibili degli sfruttatori aguzzini e dei cosiddetti clienti. Ho raccolto il grido d’aiuto che sale dalle strade della vergogna nel libro “Donne Crocefisse” (Rubbettino, con la prefazione di papa Francesco). Tutto ciò che di più profondamente blasfemo troviamo nello stravolgimento del Santo Natale in ricorrenza consumistica e indifferente alle esigenze dei più bisognosi è racchiuso e simboleggiato nelle tragedie di quelle che don Oreste Benzi chiamava le “nostre sorelline”. Le donne crocifisse rispecchiano tragicamente l’umana deriva dell’acquisto, dello sfruttamento, dell’appropriazione indebita di altri esseri umani.

È come se l’uomo non sapesse evolvere verso una fattuale, intangibile parità di dignità. C’è sempre bisogno psicologicamente, strutturalmente, di qualcuno da sottomettere. Le vittime della prostituzione coatta sono le moderne schiave e finché non saranno liberate non potrà essere dichiarata la concreta, effettiva abolizione della schiavitù. Ci sono altre odiose forme di asservimento che hanno sempre come bersaglio le persone più fragili e indifese, ma la tratta del mercimonio coatto ha questa peculiarità: si distrugge la libertà di un individuo per farne uno strumento dei propri istinti più primordiali, eticamente riprovevoli, socialmente distruttivi. Il costo personale e collettivo della tratta grava come un macigno sulla nostra civiltà cosiddetta post-moderna, ma sempre agganciata alla zavorra di condotte violentemente primitive.

Il dono più grande che l’umanità può augurarsi per il Santo Natale è non vedere mai più persone in vendita. Per nessun motivo, con nessun pretesto, per nessuna ragione al mondo. Al contrario nella società odierna dilaga sotto traccia la tentazione strisciante di attribuire un prezzo a qualunque condizione, situazione, circostanza. Lo dicono esplicitamente i più spregiudicati broker finanziari di Wall Street: “Ognuno ha il cartellino come le merci”. Ma se tutti hanno un costo, nessuno ha valore. Deve esserci, o almeno dobbiamo sforzarci di fare in modo che sia così, una sfera infrangibile di decoro personale, di salvaguardia collettiva del patrimonio morale di ciascun individuo, di orgogliosa difesa del bene comune superiore della vita. Siamo stati creati per un atto di gratuita bontà divina e dobbiamo mantenere la nostra integrità al di fuori del “mercato”, del mercimonio, del tornaconto senza scrupoli.

L’esistenza umana non ha prezzo e quindi anche vendere il corpo non potrà mai essere considerato un lavoro. Così come acquistare sesso non sarà mai paragonabile al libero e autodeterminato atto di fare l’amore. Comprare il “tempio dello spirito” come per le Scritture è la parte fisica dell’individuo, è un peccato agli occhi di Dio e deve essere ovunque un crimine per la legge dell’uomo. Gesù Bambino nasce per liberare l’umanità. Sarebbe bello e giusto che, come Suoi discepoli, festeggiassimo il Santo Natale richiamando l’attenzione delle istituzioni sull'abolizione effettiva della schiavitù perché “ciò che fate agli ultimi, lo fate a me”.

di don Aldo Buonaiuto - ass. Comunità Papa Giovanni XXIII


don Aldo Buonaiuto

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