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Ambrogio, Vescovo e Dottore, patrono di Milano

I santi patroni delle città, tesoro culturale e spirituale d’Italia

di Antonio Tarallo
Credit Foto - Freepik

Il vermiglio, sgargiante sipario, si alza sul palcoscenico del Teatro alla Scala, i Navigli in festa, la cerimonia solenne – in rito ambrosiano – delinea liturgicamente il giorno tanto atteso dalla città meneghina: è il 7 dicembre, festa di Sant’Ambrogio, Vescovo e Dottore della Chiesa. Per gli italiani, Sant’Ambrogio, per i milanesi “Sant’Ambrus”. E l’ultima lettera, quella “s” sibilante, andrebbe pronunciata più che lunga. Lunga come quei Navigli che rendono la città milanese una sorta di piccola Parigi, con i locali sulle sponde della riva, con le sue luci, e il chiasso di giovani. Nella produttiva Milano, in questo giorno, tutto si ferma per rendere omaggio al proprio patrono, a quel Vescovo che tanto fu importante per la vita di un altro grande santo, Agostino.

La Basilica di Sant’Ambrogio rappresenta, insieme al Duomo, il fulcro della vita spirituale della città meneghina. Infatti, una grande devozione popolare ruota intorno ad essa, da sempre meta di pellegrinaggi e di visitatori. La Basilica – lo sanno bene gli studiosi d’arte – è un magnifico esempio d’architettura romanica lombarda. Costruita tra il 379 e il 386, era originariamente chiamata “Basilica Martyrum”, per volere dello stesso Vescovo Ambrogio. Sorta al centro di una vasta area – detta “Hortus Philipphi” – era riservata a sepolture cristiane, caratterizzata dalla presenza di piccole celle in memoria dei martiri. La basilica si compone di tre navate, due laterali ed una centrale; il soffitto è costituito da volte a crociera a costoloni e da pilastri che danno all’intera struttura slancio e armonia. Un percorso tra arte e storia ci accompagna lungo le navate laterali con numerose e preziose decorazioni sulle volte.

Il fulcro della sua bellezza è custodito nel ciborio, un baldacchino ornato da stucchi lombardo bizantini. Elegante luogo, sostenuto da quattro colonne romane, che racchiude e custodisce il capolavoro dell’arte carolingia – unico esemplare conservato in metalli nobili – l’Altare d’Oro. Sotto a questo, attualmente, sono conservati in un’urna d’argento, i resti di Gervasio, Protasio e Ambrogio.

Ma non si può parlare del famoso sette dicembre a Milano, se non si fa riferimento a una delle manifestazioni più importanti della intera città, la Fiera degli Oh Bej! Oh Bej!. Questa, si svolge ogni anno intorno al Castello Sforzesco e prevede la presenza di ben oltre trecento espositori, fra quelli dei giocattolai, pasticceri, librari e artigiani. E’ l’inizio anticipato della festa dell’8 dicembre, dell’Immacolata. Il fulcro dei preparativi del Natale. I milanesi si aggirano per le bancarelle cercando il regalo “perfetto” da mettere sotto l’albero. Gli Oh bej! Oh bej! rappresentano una delle più antiche tradizioni milanesi. Le prime origini storiche risalgono al 1288. All’ora la festa in onore di Ambrogio, si svolgeva nella zona dell'antica Santa Maria Maggiore. L’attuale festa – così come la conosciamo noi –  risale al 1510. Coincide con l'arrivo in città di un certo Giannetto Castiglione, Gran Maestro dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro. Egli era stato incaricato da Papa Pio IV di recarsi a Milano, nel tentativo di riaccendere la devozione verso i Santi da parte dei cittadini ambrosiani. Per paura di non essere benevolmente accolto da quest’ultimi, decise allora di approntare un gran numero di pacchi, riempiti con dolciumi e giocattoli da distribuire ai bambini, durante la processione che si stava recando alla Basilica del santo patrono, per rendergli omaggio. Era, infatti, il 7 dicembre del 1510.  Il corteo, raggiunse la Basilica, e Castiglione era attorniato da una folla festante che gridava a gran voce “Oh bej! Oh bej!”, tradotto in italiano “Oh belli! Oh belli!”.

Ma perché proprio la data del 7 dicembre per festeggiare il santo patrono di Milano?  E, allora, ecco la risposta: fu il 7 dicembre del 374, che Ambrogio divenne vescovo. Ambrogio era nato a Treviri, in Germania, da una nobile famiglia romana. Il padre, governatore delle Gallie, era un importante funzionario imperiale. Dopo la morte di quest’ultimo, Ambrogio, la madre, e la sorella Marcellina  – San Marcellina, diverrà – si recarono a Roma. Qui che imparò il greco, approfondì gli studi, e divenne un buon poeta e grande oratore. Proseguì poi gli studi per la carriera legale ottenendo molti successi in questo campo come avvocato, finché l’imperatore Valentiniano lo nominò nel 370 governatore, con residenza a Milano. Ambrogio fece il governatore solo quattro anni. Un periodo che però gli offrì la possibilità di essere conosciuto come uomo onesto e cultore della “buona politica”, espressa nel suo amore e vicinanza al popolo meneghino. Fu proprio questo, il popolo, a nominarlo Vescovo di Milano. In una delle chiese della città, si discuteva da troppo tempo sul nome del successore del vescovo Assenzio, morto di recente. Era difficile trovare una soluzione all’ “enigma”. La leggenda vuole che unbambino, allora, gridò forte: “Ambrogio vescovo” e l’intera assemblea, cattolici e ariani, vecchi e giovani, presbiteri e laici, folgorati da quel grido, ripeterono a loro volta “Ambrogio vescovo”.

Decise di rompere ogni legame con la vita precedente, donò le sue ricchezze ai poveri, le sue terre e altre proprietà alla Chiesa, tenendo per sé solo una piccola parte, tanto per provvedere alla sorella Marcellina, e per la madre. Vita frugale, quella del nuovo vescovo di Milano, tutto dedito allo studio delle Scritture. Tanto approfondimento che gli valse poi il titolo di “Dottore della Chiesa”, una volta proclamato santo. Proprio per i suoi molteplici scritti teologici, è annoverato come uno dei quattro grandi dottori della Chiesa d’Occidente, insieme a Gerolamo, Agostino e Gregorio Magno.Fu all’alba del Sabato Santo, dell’anno 397, che morì in quella che ormai era divenuta la  “sua”  città, Milano.



Antonio Tarallo

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