Benedetto XVI, e la Scienza liberatrice
“Ci sono più cose in cielo e in terra, che ne sappia la tua filosofia”. Così Amleto, al suo amico Orazio, nel testo di William Shakespeare
di Antonio Tarallo
“Ci sono più cose in cielo e in terra, che ne sappia la tua filosofia”. Così Amleto, al suo amico Orazio, nel testo di William Shakespeare. Nella sua umiltà profonda, il Papa filosofo, il Papa teologo, Benedetto XVI sembra quasi essersi posto – anche lui – in ascolto delle parole del Bardo inglese, ogni volta che ha avuto modo di parlare di Astronomia, e di Scienza in generale. Infatti, il suo animo si è sempre posto davanti alla Scienza, in ascolto e – credo di non esagerare – in una contemplazione di ricerca. Papa Ratzinger ha avuto – durante i suoi anni di pontificato – una particolare attenzione a questo tema. E ogni volta che lo ha fatto, seppur nella sua innegabile profondità filosofica e teologa, ha dato alla Scienza un ruolo di “ancella” alla conoscenza dell’Infinito, di Dio.
Basti ricordare l’Angelus del tempo di Avvento, del 2008, quando pronunciò ai fedeli queste interessanti riflessioni:
“La stessa collocazione della festa del Natale è legata al solstizio d’inverno, quando le giornate, nell’emisfero boreale, ricominciano ad allungarsi. A questo proposito, forse non tutti sanno che Piazza San Pietro è anche una meridiana: il grande obelisco, infatti, getta la sua ombra lungo una linea che corre sul selciato verso la fontana sotto questa finestra, ed in questi giorni l’ombra è la più lunga dell’anno. Questo ci ricorda la funzione dell’astronomia nello scandire i tempi della preghiera. L’Angelus, ad esempio, si recita al mattino, a mezzogiorno e alla sera, e con la meridiana, che anticamente serviva proprio per conoscere il "mezzogiorno vero", si regolavano gli orologi”. E ancora: “Il fatto che proprio oggi, 21 dicembre, in questa stessa ora, cade il solstizio d’inverno, mi offre l’opportunità di salutare tutti coloro che parteciperanno a vario titolo alle iniziative per l’anno mondiale dell’astronomia, il 2009, indetto nel 4° centenario delle prime osservazioni al telescopio di Galileo Galilei. Tra i miei Predecessori di venerata memoria vi sono stati cultori di questa scienza, come Silvestro II, che la insegnò, Gregorio XIII, a cui dobbiamo il nostro calendario, e san Pio X, che sapeva costruire orologi solari. Se i cieli, secondo le belle parole del salmista, "narrano la gloria di Dio", anche le leggi della natura, che nel corso dei secoli tanti uomini e donne di scienza ci hanno fatto capire sempre meglio, sono un grande stimolo a contemplare con gratitudine le opere del Signore”.
Il tema dell’Astronomia ritornerà nell’omelia della Messa della Epifania 2009. Non poteva non essere così. Come non poteva mancare il riferimento ai tre astronomi che la Cristianità venera ogni 6 gennaio. Bisogna pur sempre ricordare che i Magi, quegli uomini d’Oriente, in fondo erano in cammino, seguendo una stella. Una stella che li condurrà, poi, a un Bambino, a quell’ “amore divino, incarnato in Cristo, la legge fondamentale e universale del creato. Ciò va inteso invece in senso non poetico, ma reale. Così lo intendeva del resto lo stesso Dante, quando, nel verso sublime che conclude il Paradiso e l’intera Divina Commedia, definisce Dio "l’amor che move il sole e l’altre stelle". Questo significa che le stelle, i pianeti, l’universo intero non sono governati da una forza cieca, non obbediscono alle dinamiche della sola materia. Non sono, dunque, gli elementi cosmici che vanno divinizzati, bensì, al contrario, in tutto e al di sopra di tutto vi è una volontà personale, lo Spirito di Dio, che in Cristo si è rivelato come Amore”.
Ma in altra omelia, sempre per l’Epifania (era il 2012), i Magi sono stati protagonisti delle meditazione di Papa Benedetto XVI. E anche questa volta il pontefice bavarese fa riferimento all’affascinante tema dell’Astronomia, soffermandosi soprattutto sul dibattito della famosa stella:
“Si è molto discusso su che genere di stella fosse quella che guidò i Magi. Si pensa ad una congiunzione di pianeti, ad una Supernova, cioè ad una di quelle stelle inizialmente molto deboli in cui un’esplosione interna sprigiona per un certo tempo un immenso splendore, ad una cometa, e così via. Continuino pure gli scienziati questa discussione”.
Ma poi, in quella omelia, Benedetto XVI riesce a tracciare una sorta di identikit di questi scienziati, e – in una certa misura, possiamo ben dirlo – è come se volesse tracciare l’identikit di “qualunque scienziato”. Entra, con le sue parole, dell’umanità dell’uomo di scienza, di astronomia, di ricercatore. E’ un passaggio davvero profondo:
“Essi erano, possiamo dire, uomini di scienza, ma non soltanto nel senso che volevano sapere molte cose: volevano di più. Volevano capire che cosa conta nell’essere uomini. Erano uomini alla ricerca della promessa, (…) erano uomini vigilanti, capaci di percepire i segni di Dio, il suo linguaggio sommesso ed insistente (…) Ma erano anche uomini coraggiosi e insieme umili (…) tanto che possiamo immaginare che dovettero sopportare qualche derisione; ma per loro contava la verità stessa, non l’opinione degli uomini”.
“Contava la verità stessa, non l’opinione degli uomini”. Per questa affermazione, vengono davvero in mente tutti quei scienziati che all’inizio delle loro scoperte, hanno avuto non certo vita facile. Umiliazioni, derisioni, che non li hanno scoraggiati a cercare la verità.
E sappiamo bene, che la verità, se è “vera verità” è sempre legata al tema della liberazione. Questo argomento viene affrontato da Papa Ratzinger durante l’anno internazionale dell’astronomia, nel 2009. Così si esprimeva, nella sala clementina, il 30 ottobre di quell’anno:
“I grandi scienziati dell'età delle scoperte ci ricordano che la conoscenza autentica è sempre rivolta alla sapienza, e, invece di restringere gli occhi della mente, ci invita ad alzare lo sguardo verso un più elevato regno dello spirito. La conoscenza deve essere compresa e perseguita in tutta la sua ampiezza liberatrice. Essa si può certamente ridurre a calcoli e a esperimenti, ma, se aspira a essere sapienza, capace di orientare l'uomo alla luce dei suoi primi inizi e della sua conclusione finale, si deve impegnare nella ricerca della verità ultima che, pur essendo sempre al di là della nostra completa portata, è, nondimeno, la chiave della nostra felicità e della nostra libertà autentiche, la misura della nostra vera umanità e il criterio per un rapporto giusto con il mondo fisico e con i nostri fratelli e le nostre sorelle nella più grande famiglia umana”.
Antonio Tarallo
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