Chiamiamoci per nome
Dare un nome è prenderci cura dell’altro, del Creato…
di Padre Enzo Fortunato
C’è come un filo rosso che percorre il mondo biblico, il mondo semita. Con un particolare che ci interessa: “Giovanni è il suo nome”, ma ancora prima “Si chiamerà Giovanni”. Vi è un’insistenza molto forte sul nome, “si chiamerà Gesù”.
Aprendo il libro della Genesi, la Creazione inizia con il dare il nome alle cose: la luce, il mare... Ma oltre a dare il nome, Dio Padre dà anche una dignità alle cose: prenditene cura. Ripercorrendo questo cammino potremmo citare tantissimi esempi, fino ad arrivare all’ultimo libro dell’Apocalisse: “sarà dunque vestito di vesti bianche. Io non cancellerò il suo nome dal libro della vita, ma confesserò il suo nome”. Ancora una volta torna il nome della persona. Dare un nome significa far esistere: “non temere, perché ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome, tu mi appartieni”; è Isaia che ci ricorda ancora la bellezza di dare un nome alle cose e di dargli dignità.
Vorrei citare due esempi attuali, per dirci con quale logica agiamo. Lo faccio estremizzando. In Iraq, dove sono stato, ho percepito con chiarezza che eliminare l’altro, eliminare i cristiani – come ha fatto l’Isis – era soprattutto cancellare il nome e rendere indegno l’altro. Cancellare il nome. Bastava andare nelle chiese, nei monasteri, per vedere come la prima forma di deturpazione fosse “cancellare”, in maniera aggressiva, persino con colpi di arma da fuoco, i nomi e metterci quello che si credeva per loro più opportuno. Anche una ragazza, di cui abbiamo avuto modo di raccogliere le confidenze, diceva: “Mi hanno cancellato il nome, mi hanno venduto, di città in città, facendomi perdere tutta la mia dignità”. Questo è il Daesh, l’Isis.
C’è anche chi un nome lo vuole dare: pensate ai racconti di Dickens. A un certo punto comprendiamo come si passa dalla paura, dal buio, alla luce. Quand’è che arriva la luce nella sua vita? Quando chiama per nome anche il fantasma che abitava nella sua casa, il suo passato, il suo presente, il suo futuro. Sono forme estreme, però a noi oggi il Signore ci chiede: “Tu, a tuo fratello, lo chiami per nome? Gli dai tutta la sua dignità?”. Altrimenti diventa un racconto e anche il Vangelo rischia di diventare una favola se il nostro linguaggio, i nostri gesti non danno un nome e una dignità all’altro.
Termino ricordando quello che ha scritto Anselm Grün, in un suo scritto “Ti ho chiamato per nome”. Ci ricorda che percepire la bellezza del nostro nome significa ricordare i nostri genitori, ricordare che Dio ha scommesso su di noi, ricordare le nostre relazioni, ricordare ciò che ci circonda, ricordare la nostra intimità più profonda. Che tu non sei un numero interscambiabile. È attraverso questo nome che è riassunta tutta la tua storia, tutta la tua dignità, tutta la tua fragilità, tutta la tua possibilità.
Dare un nome è prenderci cura dell’altro, del Creato… è la sfida per questo nuovo anno, che vedrà Papa Francesco e gli uomini di buona volontà ad Assisi per sensibilizzare e sensibilizzarci su un mondo chiamato ad essere abitato e non sfruttato, su un mondo dove non chiamiamo più l’altro “negro”, “zingaro”, “schiavo”, “figlio di…”, “muso giallo”, “terrone”, “nullità”, “pezzente”… ma lo chiameremo con quel nome bello e degno che i nostri genitori ci hanno dato, solo così sarà un anno… di pace. https://www.huffingtonpost.it/
Padre Enzo Fortunato
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