Domenico De Masi, il Perdono dei laici
Il credente è convinto che, dopo la morte, lo attende la vita eterna; invece il non credente pensa che, dopo la morte, non ci sia altra vita. Dunque, un credente che perdona lo fa sapendo che il suo atto di generosità sarà premiato nella vita eterna con un trattamento di riguardo; nel suo perdono c’è un do ut des.
Nel Nuovo Testamento la parola “aphiemi” (rimettere i debiti e i peccati) è usato 142 volte. Dice il Padre nostro (Matteo, 6,12): “Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. In altri termini, il credente perdona chi gli ha fatto del male sperando che, a suo tempo, anche Dio diventi generoso con lui.
Il non credente, invece, perdona per pura generosità, senza attendersi nessun corrispettivo. Per il non credente il perdono è un atto d’amore fine a se stesso. Ma, allora, perché perdona? Lo fa perché convinto che entrambi – debitore e creditore – sono partecipi della medesima natura umana, fallibile e sublime al tempo stesso.
A volte il perdono è una forma sottile e presuntuosa di disprezzo verso il perdonato: il non credente rifugge da un simile atteggiamento. Il credente Kennedy diceva “Perdona i tuoi nemici, ma non scordare mai i loro nomi”.
Il non credente, invece, ritiene che l’unico modo per perdonare pienamente non consiste nel rimettere il debito ma nel dimenticarlo del tutto, pur persistendo nell’umana fratellanza con il debitore.
Domenico De Masi
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