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Don Bosco, il Santo dei nostri giorni

Per il santo-organizzatore del lavoro è fondamentale avviare ogni ragazzo ad un mestiere

di Antonio Tarallo

Da pochi giorni si è conclusa la Giornata mondiale dei Giovani, a Panama. Ancora fresco è l’entusiasmo che abbiamo visto nei ricchi colori di festa che hanno dipinto volti e mani, e soprattutto cuori di molti giovani. Papa Francesco, grazie a questo evento nato dalla mente e dal cuore di Giovanni Paolo II, ha potuto così sentire “il polso” della gioventù del 3000, diciamo pure così. Parola poliedrica e alta: gioventù. E, in merito a questa, ne sapeva tanto il santo che oggi festeggiamo: San Giovanni Bosco. Non è stato un caso, certo, che proprio lui è stato nominato fra i santi patroni della Giornata.

Lo stesso pontefice lo ha nominato durante le giornate, e – in fondo – non poteva che essere così non solo per l’argomento, ma anche per la sua personale vicinanza al mondo salesiano. Dobbiamo infatti ricordare che, seppur gesuita, papa Francesco ha studiato proprio presso un istituto salesiano. Infatti, era il 1949 quando Jorge Mario Bergoglio, frequentò, assieme al fratello minore, il collegio salesiano “Wilfrid Barón” di Ramos Mejía, nella classe 6. B. All’età di 17 anni ebbe come suo padre spirituale don Enrico Pozzoli, salesiano. Fu con lui che il futuro Papa definì la sua ammissione al seminario di Villa Devoto.



Ma dopo questo doveroso “viaggio nella memoria” personale del pontefice, ritorniamo allo stretto collegamento tra giovani, Don Bosco e l’appena conclusa GMG di Panama. Ma non solo. C’è un punto che forse bisognerebbe sottolineare, proprio in questo giorno che vede il 130esimo anniversario della morte del santo “torinese”. Era nato a Castelnuovo d’Asti, ma ha visto la sua missione svolgersi prevalentemente nella capitale piemontese. Partiamo allora, da questo ultimo dato: Torino, o meglio, la periferia della città, Valdocco. E proprio in questa realtà, di povertà, di disagio che Don Bosco intuisce che per recuperare i ragazzi che vivono in condizioni precarie (di salute e di lavoro), non basta una pura assistenza religiosa.

Questa, deve essere integrata, concretizzata, articolata, lungo tutta la settimana, grazie all’assunzione di responsabilità negli impegni professionali. Nell’azione educativa a favore dei giovani don Bosco si preoccupa di istruirli e far acquisire loro quella competenza che li possa mettere in grado di svolgere un lavoro, ma più ancora una formazione che li renda “buoni cristiani e onesti cittadini”. La cura verso ogni singolo ragazzo è tanta, preziosa, importante. Per il santo-organizzatore del lavoro è fondamentale avviare ogni ragazzo ad un mestiere, collocandolo presso un onesto datore di lavoro che lo assuma, così che possa guadagnarsi quanto necessario per il sostentamento futuro. Per tutelarlo al meglio dallo sfruttamento e per difenderlo dalle continue minacce di un possibile licenziamento e conseguente disoccupazione, si fa promotore della stipula del contratto di apprendista firmato dal padrone, dal giovane, dal genitore ed in sua assenza da lui stesso.



Valdocco inizio secolo, Italia 2019. Due situazioni a confronto. C’è un enorme pantano, nel mondo del lavoro-non lavoro di Oggi, in cui sono rimasti incagliati ormai i giovani italiani under 35, tra i quali si contano 1,3 milioni di disoccupati e quasi 6 milioni di inattivi, compresi gli studenti ovviamente. Una palude immobile, una condizione che fa riflettere e che vede dilagare il lavoro sommerso, quello che non ha nessun tipo di formalizzazione contrattuale, mal pagato, e in condizioni – molte volte – assai preoccupanti: un lavoro, insomma, non lavoro. In questa condizione sociale, si inserisce maggiormente il messaggio di Don Bosco. Un messaggio che proprio in questo momento storico rimane attuale. Assai attuale.  La cura verso i giovani, l’impegno costante verso la formazione di questi, a “buoni cittadini”, a “buoni lavoratori” è una esigenza di Oggi, non un ricordo di Ieri.

Leggiamo allora di cosa parlava Don Bosco, all’epoca. Al lettore, la possibilità di fare collegamenti col Presente:

“Ricordatevi che la vostra età è la primavera della vita. Chi non s’abitua al lavoro in tempo di gioventù, per lo più sarà sempre un poltrone alla vecchiaia, con disonore della patria e dei parenti, e forse con danno irreparabile dell’anima propria”. Ed aggiunge: “Mediante il lavoro potete rendervi benemeriti della Società, della Religione, e far bene all’anima vostra, specialmente se offrite a Dio le quotidiane vostre occupazioni”. Non si può non concludere che “l’onesta occupazione è un gran tesoro per la gioventù”.



Ma c’è un tema, che dipende da quello prima evidenziato, che rende la lezione di Don Bosco così attuale. Parliamo delle condizioni di lavoro. Veniamo ai dati odierni. Sono proprio di questi giorni, tra l’altro.  Gli incidenti sul lavoro, dagli ultimi dati Inail, fanno tremare i polsi: le denunce di infortunio sono aumentate, ma soprattutto è cresciuto il numero delle vittime: +10,1%. Si parla di 1,133 morti sul lavoro tra gennaio e dicembre 2018. Ma non basta: sono in aumento anche le patologie di origine professionale denunciate, che sono state 59.585 (+2,5%). 



Era preminente, nella visione modernissima del sacerdote torinese, non solo l’importanza del lavoro, ma anche delle condizioni sociali, sanitarie, contrattuali, in cui questo doveva venir svolto. Un’attenzione, insomma, a tutto tondo, per il futuro delle giovani generazioni. Forse, sarebbero da rileggere e approfondire – proprio in questo momento storico del nostro Paese – i suoi scritti, per avere una lezione di cui il nostro Tempo, ha necessariamente e profondamente bisogno.



Antonio Tarallo

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