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FRESU: IL MIO NATALE DI SUONI E ODORI

un emozionante racconto fatto di ricordi, suoni e odori

di Paolo Fresu
Credit Foto - Mauro Berti

I ricordi del Natale nella mia infanzia sono composti da suoni e odori.

I suoni sono quelli delle Cantones De Nadale che il parroco e letterato berchiddese Pedru Casu aveva scritto assieme al Canonico Agostino Sanna nel Dicembre del 1927 per accompagnare la Novena e che da allora vengono eseguite in tutta la Sardegna.

Ho ancora nelle orecchie le melodie celestiali di Notte De chelu e In Sa Notte Profundha cantate dal coro di Berchidda e da tutti i fedeli la notte del 24 dicembre durante saMissa ‘e Puddhos.

Fuori spesso nevicava, e nelle case i camini erano accesi in attesa del pranzo natalizio e dei regali. Gli agnellini con il fiocco rosso, donati dai pastori ai bambini, belavano nelle case e attendevano il ritorno dei fedeli dopo quella messa che noi chierichetti avevamo l’onore di servire in quella notte speciale.

Mio padre inoltre era pastore, quelli agnelli erano la nostra vita e ancor più ne intravvedevo il significato seppure bambino.

Sono composizioni semplici e orecchiabili quelle del Casu, adatte quindi a essere cantate da tutti. I testi, in lingua sarda, esaltano i suoni della natura e compongono i quadri della nascita di Gesù Bambino teatralizzata nell’ambiente agropastorale della mia isola.  Raccontano di un usignolo che canta nella notte profonda e di un calmo fiume che recita misteriose allegrie o raccontano di una notte celeste e della felicità dell’uomo per la nascita del Bambino che ci libererà dalle pene dell’Inferno.

Le voci di Frank Sinatra, Mel Tormé e Bing Crosby invece arrivarono dopo, con le prime televisioni, e queste hanno incarnato nell’immaginario comune il sogno americano, i cartoons di Walt Disney e i grandi alberi addobbati e circondati di pacchi luccicanti ma spesso anche da regali poveri ma dal sapore intenso come quelli offerti dalla terra.

Due mondi diversi e lontani accomunati da sempre da belle canzoni.
Popolari quelle di Pietro Casu ma altrettanto popolari quelle di White Christmas, Have Yourself A Merry Little Christmas o The Christmas Song.

Il Natale di ognuno di noi è differente, ma è invece uguale il senso della felicità e di condivisione che appartiene ai popoli di tutti i Continenti.

Per questo ogni anno non vediamo l’ora, con mio figlio Andrea, di addobbare l’albero, posizionando palline e scartando meticolosamente gli oggetti che hanno dormito per un anno in cantina…

Il ricordo non può non andare quando ero piccolo.
Quando con i miei genitori giravamo nella nostra campagna per prendere il muschio, il lentischio, il corbezzolo, il pungitopo e il sughero per poi fare il presepe e un piccolo albero, la sera, quando mio padre tornava dal lavoro dopo avere munto le pecore e versato il latte in Cooperativa.
Ho ancora davanti agli occhi le sensazioni provate nel collocare le casette in sughero che papà aveva costruito e dipinto a mano, o il decidere dove mettere un ponte adagiato su un laghetto di carta stagnola o uno sparuto gregge simile a quello che noi possedevamo veramente.
Il presepe era il vissuto del quotidiano ma, trasportato nella nostra casa paesana, assumeva un carattere onirico e bucolico che era sinonimo di festa e di calore.

Lo stesso calore di ora tra le case e la famiglia, laddove la costruzione dell’albero (con affianco una piccola capanna) è quello genealogico dei ricordi da tramandare.

Come fosse un racconto o un libro da leggere.
Un racconto da ascoltare e un albero da inventare come faceva il nonno di Andrea, pastore e contadino che costruiva casette di sughero e disegnava recinti per piccole pecore di terracotta.

Ma Natale era, ed è tuttora, soprattutto solidarietà e tesa di mano verso i bisognosi. Sotto l’albero i pacchetti colorati e luccicanti ma anche il biglietto di auguri della piccola Anne Sherlie, la bimba haitiana della quale Andrea è padrino a distanza. Sa che il regalo più bello è forse racchiuso in quel pensiero.

 


Paolo Fresu

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