Giovanni Paolo II, il papa dei giovani
Quattordici anni fa, il 2 aprile 2005, moriva Karol Wojtyla.
di Antonio TaralloGiovanni Paolo II, il papa dei giovani Quattrodici anni fa, moriva Karol Wojtyla di Antonio Tarallo Non si dimentica la sua voce, forte e “prorompente”. Prorompente, che ben si avvicina ad altro aggettivo, “potente”. Con gli aggettivi si potrebbe andare avanti ad libitum.
Entrava (ma il verbo passato, forse, non è indicato, visto che la sua figura, le sue parole, vivono oltre il Tempo) nei cuori, quella voce. E, anche se nell’ultimo periodo di vita non poteva più esprimere in parole i suoi sentimenti, i gesti – anch’essi indimenticabili – rimanevano “forti”, come le sue parole. Il pensiero si era “sublimato” solo nel gesto, energico, espressivo. Anche in quel caso, il messaggio che Karol Wojtyla voleva dare al suo amato popolo di fedeli, arrivava.
Un dialogo infinito, oserei dire. E questo suo particolare parlare con i fedeli, si faceva ancora più carico di sentimenti, di emozioni, quando i suoi interlocutori erano i giovani. Fin dal principio del suo lungo pontificato, Karol Wojtyla, aveva compreso l’importanza delle “nuove generazioni”, questo il termine sociologico più adeguato. Ma perché questo tutto suo particolare amore per la gioventù di tutto il mondo?
La storia, la biografia dell’uomo Karol – che è stata enormemente presente nel suo Magistero – risponde con chiarezza a questa domanda. Don Karol, fin dall’estate del 1948 – sua prima missione pastorale nella città di Niegowić (ricordata, a distanza di tanti anni, addirittura nel suo testamento) – capì subito quanto fosse importante la missione nei giovani, quanto fosse importante parlare ai giovani di Cristo.
Anno 1978, 16 ottobre, ore 18.18. Trent’anni erano passati da quella esperienza pastorale del giovane sacerdote Wojtyla, ma il cuore era sempre quello. Solo il nome dell’uomo Wojtyla, era “cambiato”, quello sì: si fece chiamare Giovanni Paolo II. E se prima era il “semplice” sacerdote dei giovani, da quel giorno in poi diverrà “il Papa dei giovani”. Il pontefice polacco, inventore delle Giornate mondiali della gioventù, era cosciente del suo importante ruolo di collante fra i giovani di tutto il mondo.
Lo dirà, molto chiaramente, in un discorso nella città di Vicenza, l’otto settembre del 1991: “Il Papa deve sempre creare legami, perché gira di città in città, da Chiesa a Chiesa, da paese a paese. (…) E così formiamo la Chiesa. E il Papa deve essere questo "legame": questa è la sua missione”.
Alla quarta giornata mondiale, Giovanni Paolo II, spiegherà a Santiago de Compostela (19/08/1989) cosa vogliano dire per lui, tali eventi: “La Giornata Mondiale della Gioventù si presenta come un segno chiaro ed eloquente per il mondo. Le nostre voci proclamano unanimemente la nostra fede e la nostra speranza. Desideriamo accendere un fuoco di amore e di verità che attiri l'attenzione del mondo... Desideriamo scuotere il torpore del nostro mondo, con il grido convinto di migliaia e migliaia di giovani pellegrini che annunciano Cristo redentore di tutti gli uomini”. Il pontefice, si capisce da queste parole, amava quei segni.
Ed è proprio attraverso questi che voleva cercare di “accendere un fuoco di amore e di verità che attiri l’attenzione del mondo”. In questo passaggio, si può comprendere bene quanto sia stata importante per il suo pontificato la parola “comunicazione”. Per tale argomento, non è possibile dimenticare il suo passato come attore di teatro.
Conosceva bene cosa volesse dire “comunicare”. E, per lui, la comunicazione non poteva che passare se non attraverso i giovani. La forza di un messaggio – già forte di per sé, stiamo parlando del Messaggio del Vangelo – doveva passare per eventi che avessero una vis comunicativa già propria e intellegibile per tutti. Ma soprattutto, eventi che avessero la capacità di raccogliere/accogliere più giovani possibili. In sintesi: il “contenuto” straordinario del Vangelo, non poteva che avere un “contenitore” altrettanto straordinario.
Un “contenitore” di tutto questo fu la Giornata Mondiale della Gioventù del 2000, nell’anno del Giubileo. Le immagini televisive sono lì, a testimoniare l’indiscussa “attrazione” che Giovanni Paolo II esercitava sui giovani. I numeri non hanno bisogno di alcun commento: 2.500.000 presenze nella spianata romana di Tor Vergata. Definiamolo pure – senza essere “irriverenti” – un enorme “concerto rock” dove il Divo aveva più di duemila anni “sulle spalle”. Un concerto organizzato da un grande “manager”, Giovanni Paolo II, appunto.
Fu in quella occasione che il pontefice ci lasciò il suo testamento “spirituale”, rivolto – ovviamente – ai giovani: “Oggi siete qui convenuti per affermare che nel nuovo secolo voi non vi presterete ad essere strumenti di violenza e distruzione; difenderete la pace, pagando anche di persona se necessario. Voi non vi rassegnerete ad un mondo in cui altri esseri umani muoiono di fame, restano analfabeti, mancano di lavoro. Voi difenderete la vita in ogni momento del suo sviluppo terreno, vi sforzerete con ogni vostra energia di rendere questa terra sempre più abitabile per tutti”.
2 aprile 2005, piazza San Pietro. Veglia di preghiera per accompagnare il Santo Padre nell’ultimo viaggio, lui che durante ventisette anni di pontificato ne aveva fatti più di duecento. L’ultimo pensiero a loro, i giovani. Il suo sguardo alla finestra, da cui entrava – ritmato – il grido “Giovanni Paolo…Giovanni Paolo…”.
La piazza palpitava con lui. I giovani di tutto il mondo avevano il naso all’insù, quasi a sperare in una sorta di miracolo: un “neo-Lazzaro”, che prima o poi sarebbe uscito dal sepolcro. Il Papa-papà non poteva lasciarli. Poi, le ore 21,37. La luce che si scorgeva dalle tende della finestra, diventava – d’un tratto – ancora più flebile. Qualcosa era successo. Il racconto, ora, non può non passare che dalla “terza”, alla “prima persona”.
Eravamo tanti, davvero. E tutti, in un silenzio fatto solo di preghiera, il Santo Rosario. Ragazze e ragazzi con i volti sconvolti, alcuni bagnati dalle lacrime, altri scavati dalla stanchezza. Il papa ci aveva lasciati, ma aveva consegnato in eredità – per sempre – parole, gesti, sorrisi che non si possono dimenticare. Quei ragazzi sono cresciuti, sono diventati adulti, uomini e donne, e molti di loro sono divenuti genitori.
Quel 2 aprile 2005, è divenuto per molti “un racconto” da raccontare ai propri figli che – a loro volta – lo racconteranno alle generazioni future. E’ così che Giovanni Paolo II ancora vive, nel presente. Grazie a quei giovani.
Antonio Tarallo
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